A novembre dello scorso anno, Apple aveva pianificato per gli sviluppatori che desideravano inviare applicazioni al Mac App Store l’obbligo del sandboxing. Si tratta di una tecnologia che costringe a eseguire le applicazioni di Lion all’esterno di alcuni punti “strategici” del sistema operativo, limitando alcune operazioni eseguibili ma con palesi vantaggi dal punto di vista della sicurezza. In seguito a molte richieste, il vincolo è stato rimandato al primo marzo di quest’anno, dando così tempo agli sviluppatori di modificare il codice nativo e adattare alcuni software.
Il Wall Street Journal è ritornato in questi giorni sulla questione evidenziando come alcuni sviluppatori lamentino l’impossibilità di eseguire alcune operazioni.
Ad esempio, Kent Sutherland, autore di Fantastical, lamenta l’impossibilità di sincronizzare e importare dati da altre applicazioni di terze parti. La posizione ufficiale di Apple è consentire l’accesso ad alcune funzioni solo provvisoriamente lasciando Sutherland e altri sviluppatori nell’incertezza e nel dubbio se alcune funzioni saranno operative o no in futuro. A detta di Apple la maggior parte delle applicazioni non richiede alcuna modifica; diverso è il discorso per applicazioni che modificano il comportamento standard del sistema o utility che interagisce con i livelli più bassi del sistema operativo. Per molte di queste in futuro potrebbe essere necessario un esame approfondito prima che Apple approvi la loro pubblicazione sullo store.
Ovviamente gli sviluppatori potrebbero vendere le app non “conformi” al di fuori del Mac App Store, sfruttando i tradizionali canali di distribuzione (download dal web e supporti come CD/DVD) ma, soprattutto gli sviluppatori piccoli, avrebbero minore visibilità e possibilità di farsi conoscere. Ne dovremmo ad ogni modo saperne di più dopo il primo marzo.
[A cura di Mauro Notarianni]