Stop a Politicapp, applicazione sui sondaggi elettorali di SWG. Il semaforo rosso acceso direttamente dall’AGCOM a distanza di pochi giorni dall’avvenuto lancio del programma che, secondo l’ente preposto alla sorveglianza della legge su par condicio e tempi della campagna elettorale, infrangerebbe l’articolo 8 comma 1 della norma, quello sulla diffusione dei sondaggi nel periodo del black out pre-elettorale che inizia a 20 giorni dalla consultazione.
La disposizione dell’AGCOM è, in un tempo, sorprendente ma anche prevedibile. Sorprendente perché era stata l’AGCOM ad avere autorizzato esplicitamente SWG a pubblicare l’app che si prefigge di distribuire sondaggi anche dopo lo stop su tutti i media; è prevedibile perché era piuttosto chiaro fin dall’inizio che i presupposti su cui era stato concesso il via libera erano fondati su presupposti discutibili, in particolare sul campione ristretto cui sarebbe stata fornita l’applicazione.
Ricordiamo che secondo l’AGCOM, sollecitata per tempo dal prestigioso istituto di sondaggio, nulla avrebbe ostato alla pubblicazione di Politicapp, visto il programma poteva «essere fruito unicamente da un target definito di clienti paganti che cioè abbiano deciso di acquistarla». Che cosa distinguesse un’app a pagamento, da un sito sempre a pagamento o da un giornale (a pagamento) che sono tutti definibili come «fruiti da un target definito di clienti paganti» non era particolarmente chiaro e di conseguenza non era chiaro perché SWG potesse vendere un’app con sondaggi mentre ad altre realtà fosse proibito fare la stessa cosa. Probabilmente l’AGCOM aveva semplicemente applicato lo schema che viene usato per consentire agli istituti di sondaggio di vendere le loro ricerche a clienti privati, dimenticando però che un conto è preparare qualche slide da spedire in una sede di partito dove viene vista da qualche decina di persone, un’altra è creare un’app fruibile da 30 milioni di persone.
Il dubbio deve essere corso nella mente anche di qualcuno che in AGCOM se è vero che il consiglio dell’autoritaÌ ha emesso un comunicato con il quale fa si corre ai ripari. «L’applicazione realizzata dalla SWG – si legge – nei termini in cui viene pubblicizzata, rende accessibile, previo il pagamento di un prezzo contenuto, il risultato dei sondaggi ad un pubblico potenzialmente molto vasto, con inevitabili effetti di diffusione incontrollata dell’informazione. Questa circostanza configura quindi un’oggettiva violazione del divieto imposto dalla legge sulla par condicio. L’AutoritaÌ ha comunicato le proprie valutazioni alla SWG, confermando, anche in relazione a questa ipotesi, il divieto di diffondere sondaggi dalla mezzanotte del prossimo venerdiÌ 8 febbraio e fino alla conclusione delle operazioni di voto». Insomma, dopo avere visto l’app e il suo prezzo, l’autorithy avrebbe capito che essa viola la legge della par condicio; che AGCOM abbia dovuto aspettare di vedere l’app per capire come funziona è fatto, questo sì, davvero soprendente a meno di non dare per scontato che, come accennato poco sopra, chi aveva espresso il suo parere favorevole all’applicazione non conoscesse molto bene il sistema di pubblicazione di un’app, il costo medio e la piattaforma di diffusione. Ma così fosse ci sarebbe da stare poco allegri visto che «l’Agocom .- citiamo da Wikipedia – ha il duplice compito di assicurare la corretta competizione degli operatori sul mercato e di tutelare il pluralismo e le libertà fondamentali dei cittadini nel settore delle telecomunicazioni, dell’editoria, dei mezzi di comunicazione di massa e delle poste» e quindi si suppone che dovrebbe conoscere molto bene come funzionano le applicazioni che sono ormai a tutti gli effetti uno strumento di comunicazione di massa.
SWG, uno dei più prestigiosi e seri istituti di sondaggio italiani che sull’app aveva scommesso in immagine e non solo in denaro per il suo sviluppo, è ovviamente molto irritata: «Noi rispettiamo la legge – dice il presidente Roberto Weber, – ci penseranno i nostri avvocati. Chi ha scaricato la nostra PoliticApp non si preoccupi: ci mandi un’email e noi provvederemo a dare comunque tutte le informazioni che abbiamo promesso. Se non potremo, restituiremo i soldi»
In realtà va detto che, come notato da Macitynet in occasione del lancio dell’applicazione, SWG precisava che il costo dell’app non poteva essere rimborsato in alcun caso, un comprensibile modo per mettere le mani avanti nel caso, non auspicabile, fosse capitato quel che è successo. Ora evidentemente il non rimborso è una opzione e non un obbligo per SWG che potrebbe invece decidere di rimborsare di tasca sua quel che prenderà da Apple (il 70% del costo dell’app che costa 9,99 euro) più la percentuale trattenuta da Apple visto che le procedure di Apple non prevedono il rimborso né ad SWG né ai clienti finali che hanno comprato l’App.
In alternativa SWG potrebbe decidere di mandare le stesse informazioni contenute nell’app via email ai clienti che l’hanno comprata o creare una zona riservata sul suo sito, per dare accesso ai sondaggi, ma bisogna vedere come AGCOM prenderebbe questa strategia. Certo, l’istituto triestino potrebbe chiedere un parere all’autorità, ma visto come è andata nella prima occasione dovrà sperare che l’opinione sia espressa da qualcuno che conosce i meccanismi della posta elettronica o delle modalità di consultazione di un sito Internet messo sotto password.