Alla fine, per far “scomparire” questo danno d’immagine che rischiava di andare avanti come una sorta di marchio di Caino, Comcast ha deciso di patteggiare. E si è messa d’accordo con gli avvocati della causa class action che dal 2007 sta facendo passare notti insonni al suo top management.
Il frutto dell’accordo è una cifra di circa 16 milioni di dollari che andrà a compensare il diritto di “libero download” degli utenti abbonanti al servizio di internet super-veloce di Comcast, una sorta di Fastweb americana che fa della sua reputazione di network in cui si riesce a fare tutto il suo punto di forza nel marketing.
Non c’è stata nessuna ammissione di comportamento sbagliato da parte di Comcast nei confronti dei suoi utenti. Eppure, il colosso nel 2007 aveva bloccato in maniera surrettizia il traffico internet che veniva usato principalmente per le attività di peer to peer, cioé di download con sistemi come Gnutella e Bit Torrent. La causa class action, che porterà nelle tasche di ciascuno dei singoli ricorrenti una cifra di circa 2.500 dollari, è stata poi la molla che ha fatto partire anche una indagine da parte della FCC, l’ente federale americano che si occupa di monitorare le telecomunicazioni e il loro corretto funzionamento.
A far partire la class action, un utente californiano, tal John Hart, che ha raccolto intorno a sé svariate migliaia di altri utenti desiderosi di difendere il loro diritto di scaricare quel che vogliono dalla rete. Attualmente Comcast, che secondo la FCC non può neanche sognarsi di limitare il tipo di servizio dei suoi utenti filtrando i pacchetti di internet (soprattutto alla luce della politica di net neutrality portata avanti da Barack Obama in persona) ha introdotto una diversa clausola nei contratti, in base alla quale c’è un tetto mensile di 250 Gigabyte di traffico in download e upload.