Il vecchio Leander. Chi lo conosceva, quando stava muovendo i primi passi a Wired News, la versione online indipendente (poi acquisita da quella cartacea) del mensile americano Wired, considerato la Bibbia della generazione digitale nella Silicon Valley e da poco arrivato anche in Gran Bretagna e in Italia, lo ricorda come un simpatico e bonaccione, attento giovane giornalista.
Leander di strada ne ha fatta ed è stato l’amore per il Mac a guidarne i passi. Infatti, Leander Kahney, classe 1965, una vita per il giornalismo tecnologico, ha dedicato ad Apple le sue pagine più belle. Addirittura facendo partire un blog stimatissimo (The Cult of Mac Blog) e quindi con due libri che sono stati altrettanti strike da bowling, sport che il giovane collega pratica con avidità e capacità .
Il primo è stato “Il Culto del Mac“, tradotto anche da noi per Mondatori, a cui ha fatto seguito “Il Culto dell’iPod“. Chi lo conosce bene come il vostro cronista, e l’ha consigliato negli anni difficili del bisogno, da espatriato che scriveva per il Guardian di Londra un pezzo ogni tanto fino ad arrivare alle articolesse per l’Observer (l’edizione domenicale) e poi Scientific American oltre che, appunto Wired News e soprattutto MacWeek (dove si era fatto un nome come vero e proprio appassionato, nella stessa nidiata che ha dato i natali per intendersi a giornalisti di primo piano del mondo Mac).
Ma oltre ai suoi acuti reportage che hanno svelato punti salienti della vita al numero 1 di Infinite Loop, con accesso a fonti che anche i “grandi” del settore non riuscivano ad avere, Kahney ha lavorato per realizzare un lavoro più complesso. Per comprendere il valore del giovane collega, basti pensare che dopo una serie di birre notturne che lo hanno portato a maturare la decisione di lasciare Wired, il direttore Chris Anderson non ha potuto fare altro che andare a pescare uno dei più bravi giornalisti della East Coast, cioè Steven Levy, già a capo della sezione tecnologica di Newsweek e (nel 1978), il cronista che ritrovò il cervello imbalsamato di Albert Einstein.
Kahney ha lavorato a lungo al suo volume: Nella testa di Steve Jobs (da oggi in vendita anche su Bol al prezzo di 13,20 euro). Anche solo il sottotitolo spiega perfettamente lo spirito innovativo e dissacrante che questo protagonista dell’informazione mondiale della mela morsicata ha voluto dare: La gente non sa cosa vuole, lui sì. E la lettura è un piacere: si scopre e si approfondisce la rutilante vita di Steve Jobs, della sua dinamica e capacità d’azione su piani e mercati diversi, di influenzare le persone vicine e lontane e di dare un significato e una forma a progetti che sembrano, visti con gli occhi di poi, ovvi, mentre a priori erano semplicemente folli e inimmaginabili. Successi enormi, poi, a saperli fare.
La biografia di Steve Jobs è una storia che è fonte di spunto per creare uno stile vincente di management, scrivono gli anonimi redattori di Sperling & Kupfer, nel tentativo di uscire dalla nicchia e attrarre un improbabile e sfuggente pubblico di manager e imprenditori. Ma, lasciandoli alla loro solitaria e sisifica fatica, noi che abbiamo avuto la possibilità di leggere le prime bozze, già quasi tre anni fa, e suggerire correzioni, puntualizzazioni e giri di parole più leggeri di quelli originariamente scelti, possiamo dire che è invece una inchiesta avvincente e una storia complessa e serrata della vita e del successo di uno degli uomini più singolari e penetranti che il dopoguerra ci abbia dato.
Nella Testa di Steve Jobs (edizione Sperling & Kupfer, 254 pagine, rilegato, Codice EAN: 978882004692) è in vendita in tutte le librerie, oltre che su Internet su Bol [sponsor]; fare click qui.