Microsoft passa ventimila righe di codice al mondo Linux. Una vera piccola “bomba” esplode nello spazio libero e segnato da una perenne diffidenza se non aperta conflittualità tra Redmond e il mondo del Pinguino. Perché la società delle Finestre decide di, apparentemente, dare una mano alla rivale di sempre? Quale la ragione di una concessione che finirà per portare a Linux elementi che serviranno a migliorare la competitività del sistema operativo ‘libero’ con quello degli Os a pagamento? La risposta è nelle parole chiave dell’attuale rivoluzione digitale: sicurezza, web 2.0, e virtualizzazione.
La prima è il pallino fisso di Microsoft, oltre che il suo punto debole. La percezione è che i prodotti dell’azienda siano pieni di bachi. I signori del codice della società fondata da Billa Gates cercando, con le parole e con i fatti, di smentire la nomea lavorando costantemente per migliorare il sistema operativo ma il bersaglio costituito dal codice di Redmond è però troppo grosso per non interessare gli hacker “cattivi”, e quindi permane.
La seconda, web 2.0, è la sfida che noi consumatori vediamo più chiaramente. Google e la rivoluzione del web, la lotta del browser, del motore di ricerca, dei paradigmi contrapposti (software in vendita e da installare contro tutto gratis sul web ma con la pubblicità ). In realtà non è il vero scontro.
Se si scende più in profondità si arriva al terzo livello: la virtualizzazione. Tutti i moderni processori arrivano con più cuori e la gestione di questa abbondanza di calcolo parallelo, unita al bisogno di tenere in vita vecchi pezzi di codice, porta alla via della virtualizzazione, sia nei computer per tutti (pensate a un Internet Explorer che gira in modalità “virtuale”, cioè dentro una scatola logica separata da quella del sistema operativo) che in quelli per le aziende, che possono buttare tutti i vecchi servi, comprarne uno molto potente e partizionarlo in più macchine virtuali su cui far girare i vecchi sistemi.
Uno dei campioni in questo settore è, ad esempio, VMWare, società specializzata sia nell’aspetto consumer che in quello enterprise della virtualizzazione. E che adesso si trova a lottare contro una ben agguerrita Microsoft, che si muove per darsi peso anche in questo settore. Per farlo, Microsoft ha scelto una strada molto particolare e obliqua, ma dietro la quale per gli addetti ai lavori è molto chiaro l’obiettivo.
Microsoft ha infatti dato alla comunità Linux un buon quantitativo di codice, tra il quale c’è quello per la tecnologia di ipervisori Hyper-V, nocciolo per la virtualizzazione che adesso atterra anche nel mondo Linux. Microsoft, insomma, dà seguito alla sua strategia annunciata tempo addietro di voler condividere con la comunità alcune tecnologie molto “tecniche” (inclusi tre driver di periferica per Linux) ma fondamentali per la riuscita dello sviluppo di altre (Come le macchine virtuali) e metterle a disposizione anche dell’avversario Linux e dei suoi sviluppatori del kernel del sistema operativo.
Oltre a Hyper-V, la più famosa, ci sono anche altre tecnologie che Microsoft ha annunciato oggi di aver rilasciato per il mondo open source, durante la conferenza annuale che si tiene a San Francisco e che viene organizzata dall’editore di tecnologia O’Reilly,Open Source Convention. In tutto sono 20 mila righe di codice, con dentro di tutto, soprattutto nell’ottimizzazione dei database e del server Php di prodotti Microsoft o per prodotti Microsoft.
L’obiettivo dichiarato di Microsoft è quello dell’interoperabilità nell’eterogeneo mondo del web e della ricerca. Il punto è che Microsoft cede coraggiosamente (dal suo punto di vista) il controllo su alcuni “pezzi” delle sue tecnologie ma, così facendo, apre la strada a riguadagnare quella centralità che in realtà stava perdendo. Il modello dell’esclusività (prodotti Microsoft compatibili solo con tecnologie Microsoft e viceversa) non è più sostenibile. Da un punto di vista culturale questo vuol dire che l’Open Source segna una vittoria importante. Ma nel lungo periodo il piano di Microsoft non cambia: è dominare il mercato, non partecipare alla conversazione.