E’ passata parecchia acqua sotto i ponti, da quando l’installazione di Linux richiedeva la creazione manuale di varie partizioni ed il districarsi tra una miriade di opzioni da configurare con la linea di comando.
Attualmente la maggior parte delle distribuzioni di Linux (RedHat, Suse, Debian, solo per citarne alcune) é fornita di serie con un programma di installazione grafico, che semplifica non di poco la vita all’utente.
Chi scrive si è trovato a dover installare Linux sul un PowerBook G4/550 per motivi di studio e non c’era migliore occasione per verificare se fosse possibile ritenere il sistema operativo open source una valida alternativa a Mac OS X.
Per iniziare ho clonato con CarbonCopyCloner l’intero HD su un drive esterno Firewire, in modo da poter tornare indietro in qualsiasi momento.
Ho creato 2 partizioni, utilizzano Disk Setup contenuto nel primo CD di installazione di Panther (è necessario riavviare dal CD per poter formattare il disco rigido). La prima, da 15GB, è in formato HFS+ ed è destinata ad ospitare Mac OS X, mentre la seconda (5GB) non è inizializzata (free space).
A questo punto, si riavvia dal primo CD di YellowDog Linux (www.yellowdogLinux.com, semplicemente tenendo premuto il tasto ‘C’ all’avvio del computer. Questa procedura funziona solamente sulle macchine definite “new world”, cioè dal G3 blue bianco in poi, mentre per i mac un po’ pi? datati, è necessario avere installato Mac OS 9 su un’altra partizione ed utilizzare un bootloader ad hoc.
Dopo un paio di minuti, la finestra di ‘Anaconda’, l’installer grafico di YellowDog Linux, appare sullo schermo e ci guida nell’installazione attraverso una serie di schermate più o meno semplici.
Nel mio caso ho scelto un’installazione di tipo ‘Workstation’, nella quale sono presenti vari tools di programmazione e compilatori di ogni tipo.
Una volta partito, il processo di copia dei files dai tre CD, ha richiesto circa 45 minuti. Un’installazione tipica dovrebbe richiedere qualche minuto in meno, dal momento che non tocca i 2,2GB che richiedono tutti i pacchetti di cui ho bisogno.
Il primo avvio di Linux ha richiesto parecchi minuti, in quanto il PowerBook non era collegato a nessuna rete cablata (Ethernet) e non riusciva a connettersi al punto di accesso wireless presente (Airport). Quello della connessione alla rete senza fili di casa è stato il primo problema incontrato, ed ha messo in luce alcune mancanze e bugs di questa distribuzione.
Una volta eseguito il login e caricata l’interfaccia grafica (KDE, nel nostro caso), ho provato subito ad aprire il programma di configurazione della rete (System Settings – Network), che si è chiuso con un messaggio d’avvertimento a dir poco criptico, del tipo “il device eth1 è stato compilato con la versione 14 del Wireless Extension, ma stiamo usando la versione 12.
Alcune cose potrebbero non funzionare…” (il messaggio d’errore era in inglese).
Una rapida ricerca con google (su un altro computer, con Mac OS X), mi ha permesso a risalire al problema ed alla sua soluzione: YellowDog Linux non è in grado di connettersi ad una rete wireless criptata senza che si agisca manualmente su un file di configurazione /etc/sysconfig/network-scripts/ifcfg-eth
inserendo il nome della rete a cui si vuole connettersi e la chiave WEP in forma esadecimale.
Una volta modificato il file e riavviato il sottosistema di rete con il comando /sbin/service network restart
eseguito come amministratore), airport ha cominciato a funzionare a dovere.
Per quanto riguarda l’interfaccia grafica, è evidente che non siamo nemmeno lontanamente ai livelli di Mac OS X, sia dal punto di vista del design, sia da quello dell’implementazione.
Chiaramente questo è un parere soggettivo e riguarda in particolare KDE, anche se rimango dello stesso parere anche nei confronti di altri window managers.
L’installazione di default comprende una lunga serie di giochini (ben 48!), anche se la mancanza di driver adeguati per la scheda grafica del PB impedisce l’uso di qualcuno di questi (Tux Racer, per esempio, non supera i 7-8 frame al secondo ed è meglio usarlo nella sua versione per Mac OS X).
Questo è un altro punto dolente di Linux: la mancanza di drivers. è vero che per il 2D i driver funzionano decentemente, ma a che serve avere un chip in grado di accelerare il 3D, se poi questa capacita` non è sfruttata dal sistema operativo?
Tra i vari software installati, c’è anche OpenOffice, un clone open source di Microsoft Office, con il quale è pienamente compatibile, ed una serie di utili applicazioni per leggere la posta elettronica, navigare in internet, chattare, manipolare immagini, e così via.
Non male per un sistema operativo che non costa un euro… La maggior parte di questi software è di buona qualità e permette di svolgere tutte o quasi le attivita` di un utente medio.
In conclusione, ritengo che allo stato attuale Linux non sia in grado di competere con Mac OS X nell’ambito consumer. Non penso che si possa chiedere ad una persona inesperta di modificare un file di configurazione per far funzionare la propria scheda airport, per citare solo un esempio delle insidie che può nascondere questo sistema operativo.
Tuttavia puo’ tornare utile nel caso si possegga un vecchio Mac e lo si voglia trasformare in un server casalingo (senza interfaccia grafica) oppure si abbia voglia di smanettare un po’.
Per discutere di questo tema con i nostri lettori vi rimandiamo alla sezione Think Linux! del Forum di MacityNet.