Potrebbe essere la trama per un thriller di quelli post-moderni: le grandi major discografiche sono alla canna del gas e studiano una strategia per ribaltare le sorti della guerra che stanno perdendo. Il piano si chiama CMX, uno standard tecnologico sviluppato da Sony, Warner, Universal ed EMI che dovrebbe mandare in soffitta Mp3 ed Aac, restituendo il potere alle grandi aziende. Ci riusciranno?
La storia è semplice. Gli Mp3 hanno distrutto la musica intesa come industria convenzionale. Soprattutto gli album, il prodotto più artificiale (è da relativamente poco tempo che esistono gli LP rispetto alla canzone singola, nella musica leggera e jazz) e redditizio. Si mettono insieme tante piccole canzoni su un 33 giri (e poi su un Cd) e si vende a prezzi elevatissimi, assicurandosi poi la vendita anche delle singole canzoni per singoli e passaggi radiofonici e televisivi. Una vera manna.
Una vera manna che però si è esaurita. Nell’ultimo anno meno del dieci percento delle vendite di album è avvenuta online. Il crescente mercato della musica digitale legale, quello che anche le grandi case discografiche hanno imparato ad accettare e rispettare, è pur sempre avaro di soddisfazione epr quanto riguarda il vecchio modello di business. Niente album da dodici canzoni, solo singoli o quasi. Ad Apple non dispiace, anche se cerca di mettere fuori prodotti interessanti come i 45 giri digitali, cioè due canzoni accoppiate a prezzo più basso della loro somma come singoli. Per gli album, il discorso si fa complicato.
I quattro dell’apocalisse musicale, come vengono chiamati dalle etichette indipendenti, sono disperati. Devono trovare una strada per riuscire a riprendere il controllo del mercato e, se possibile, taglieggiare oltre che gli ascoltatori anche gli artisti delle etichette minori ed indipendenti. Perché un nuovo formato, ragionano gli uomini del mondo del business musicale, se di proprietà delle quattro grandi costringerebbe tutti quanti a usare lo standard pagando le royalties sulla tecnologia che contiene la musica, anche se non nessuna major viene coinvolta nel processo di produzione e vendita.
L’idea piace ai discografici che, secondo il Financial Times, ci lavorano per qualche mese e addirittura, 18 mesi fa, la propongono anche ad Apple che dice di no sdegnata. Si tratta di creare questo fantomatico formato CMX, che diventa una sorta di formato contenitore, più che un codec, all’interno del quale si trovano differenti tipi di informazioni. Una mini-applicazione che “parte” e consente di entrare nel mondo del singolo album: tutte le canzoni, la copertina, i testi, applicazioni per i telefonini, suonerie e via dicendo. Una sorta di mini-paese dei balocchi digitale incapsulato dentro un singolo software.
La mossa del formato CMX potrebbe essere anche letta in chiave di nostalgia da parte dei vecchi discografici per un formato che consenta di tornare al buon vecchio album da suonare dal principio alla fine, da un lato, e dall’altro al tentativo di costringere anche Apple a mollare il controllo sul mondo della musica digitale, imponendo una forma d’uso che vada oltre iTunes e i vari iPod e iPhone. à una battaglia seria per la supremazia della musica, soprattutto perché parte nel modo più sconclusionato di tutti. Vedremo nella seconda parte come risponderà Apple.