«Superate le restrizioni al libero accesso al Wi-Fi, dal 1 gennaio prossimo, mantenendo tuttavia adeguati standard di sicurezza». Poche parole, meno di una riga in un comunicato stampa di tre cartelle. Così Palazzo Chigi – parlando della riunione del Consiglio dei Ministri di questa mattina – annuncia che finalmente il famigerato decreto Pisanu, che dall’estate del 2005 imponeva inutili e laboriosi passaggi burocratici per usufruire di un hot-spot aperto, sarà abolito.
A spiegare meglio è il ministro Roberto Maroni durante una conferenza stampa con Berlusconi e Bertolaso, tenutasi questa mattina a margine della seduta del Consiglio dei Ministri. E lo fa con uno stile alla “One more thing”: a fine intervento e dopo aver parlato praticamente di tutto: dalla carta d’identità digitale, alle lotta al crimine organizzato. «Questa mattina – ha detto il ministro del Carroccio – abbiamo affrontato la tematica dell’accesso ad internet con Wi-Fi e della normativa che lo regolamenta: il così detto “decreto Pisanu”». Maroni – indicato dai rumors come uno degli esponenti più restii a mettere una pietra sopra sul decreto -, non usa, invece mezzi termini. «Si tratta di norme che mettono pesanti restrizioni e che hanno fatto sì che l’Italia sia l’ultimo paese in Europa per Access Point».
E per quanto riguarda il fondamentale ruolo di baluardo a difesa della nostra sicurezza? Il “Decreto Pisanu” era stato partorito, all’indomani degli attentati alla metropolitana di Londra e conteneva una serie di norme antiterrorismo, tra le quali quelle sul Wi-Fi. Ma anche su questo Maroni sembra aver cambiato idea. «Sono stato in Israele (uno di quei paesi che Macitynet aveva indicato come un esempio cui guardare se il problema era la diminuzione della sicurezza determinata dal Wi-Fi libero NDR) e mi sono confrontato con il responsabile antiterrorismo israeliano. E sono arrivato alla conclusione finale che si posa procedere all’abolizione delle restrizioni del decreto Pisanu. Dal primo gennaio introduciamo la liberalizzazione, eliminando l’obbligo che c’è oggi di doversi precedentemente registrare con la fotocopia della carta d’identità».
Il popolo della rete è da anni che fa presente che non solo in Israle, ma neanche in nessun altro Paese europeo ci sono misure così draconiane come in Italia; forse solo Corea del Nord, Iran e Cina manifestano con le leggi anti Wi-Fi preoccupazioni tanto forti sul rischio sicurezza quanto quelle che si percepivano dal decreto Pisanu, ma in quelle nazioni come è noto non sempre il significato del termine sicurezza collima con quello che gli si attribuisce alle nostre latitudini. Ma tant’è: confrontarsi con un collega fa sempre bene.
I problemi però arrivano man mano che Maroni prosegue a parlare e il “One more thing” si trasforma da sorpresa attesa e stupefacente, alla sensazione di una mezza sola. «Naturalmente – ha continuato il ministro – da qui a dicembre valuteremo quali siano gli adeguati standard di sicurezza da mettere in capo a chi fornisce il servizio di connettività». Insomma, il modello inglese o americano completamente deregolarizzato e molto “facile”, resterà probabilmente un sogno. Secondo l’ipotesi più accreditata, infatti, si sta lavorando ad un sistema di registrazione tramite sms, meglio dell’attuale sistema a suon di registrazioni, fotocopie di carta d’identità e faldoni da tenere in archivio per sempre, ma certo peggio del sistema in vigore ovunque che affida a ben altri e ben più efficienti sistemi il monitoraggio ai fini della sicurezza nazionale e dall’anticrimine.
La registrazione con SMS significherebbe non solo complicare l’uso del Wi-Fi e, probabilmente, renderlo non utilizzabile da parte degli stranieri (scontentando così il ministro del turismo Brambilla che sostiene la liberalizzazione per favorire le abitudini di chi arriva dall’estero e che quando è qui si trova stranito di fronte al sistema bizantino oggi in uso per accedere al Wi-Fi, oltre che alla spaventosa penuria di Hotspot) ma anche le aspettative dei firmatari di una recente proposta di legge bipartisan presentata alla Camera. «Uno dei punti fondamentali – aveva detto a Macity l’ex Miniistro delle comunicazioni e tra gli estensori del testo, Paolo Gentiloni – è che la semplificazione sia per tutti: utenti e proprietari del punto Wi-Fi».
Eppure anche a fronte della prospettiva di un sistema che prevede per l’Italia una Wi-Fi libero meno… libero di quello che si ha in altri paesi, c’è chi ha già iniziato a puntare i piedi e a rilanciare l’allarme sicurezza. È il procuratore nzionale antimafia Grasso che, secondo Repubblica da Bari ha denunciato il rischio dell’apertura al Wi-Fi che “riduce moltissimo la possibilità di individuare tutti coloro che commettono reati attraverso Internet. Bisogna rendersi contoche dietro queste reti wi-fi e internet point ci si può nascondere benissimo nella massa degli utenti non più identificabili e si possono trovare anche terroristi, pedofili e mafiosi“.
Tra le domande che a fronte di questa affermazione ci si potrebbe fare e si potrebbero rivolgere anche a Grasso è se pedofili, mafiosi e terrorisi esistono solo in Italia e se invece, come probabile, il crimine organizzato e informatico esiste anche in altre nazioni, come sia possibile che in paesi anche più liberi di quanto non sarà libera l’Italia dal punto di vista del Wi-Fi e magari anche più a rischio del nostro, a nessuno sia mai venuto in mente di paventare la perdita da parte delle forze dell’ordine di un sistema per perseguire i malviventi solo perchè ci sono hotspot ovunque e accesso facilitato e senza complicate registrazioni. Forse perchè, ipotizziamo noi, il crimine non ha bisogno del Wi-Fi libero per persguire i suoi scopi o forse perchè esistono sistemi assai più sofisticati che non la fotocopia di una carta d’identità per identificare chi usa un hotspot per perseguire scopi puniti dalla legge. E forse perchè nella classe dirigente e politica ci sono anche maggiori competenze in campo informatico e una maggior capacità di scuotere lo status quo, non solo in campo informatico, di quanta ne abbiamo in Italia.