Don’t be evil, non “fare il cattivo”, non comportarti male. Il motto, o quasi, di Google da oggi potrebbe essere un po’ meno vero se quello che riferisce il Wall Street Journal nella sua edizione on line fosse confermato. Secondo la testata finanziaria, che a sua volta cita una ricerca finita in un dossier del ricercatore di Stanford Johnatan Mayer e confermata da Ashkan Soltani, un esperto indipendente consultato dal Wall Street Journal, il colosso di Internet avrebbe collocato nel codice di Safari alcune invisibili e apparentemente innocenti righe di codice grazie alle quali sarebbe possibile aggirare il blocco del tracking, ovvero del metodo con cui alcuni inserzionisti pubblicitari sono in grado di rilevare le abitudini di navigazione degli utenti e in questo modo distribuire annunci pubblicitari più in linea con i loro interessi.
Il tracking è una delle metodologie di targeting più efficienti ma anche contestate. In termini pratici funziona mediante la capacità del sistema di annunci di leggere la storia di navigazione mediante un cookie e di servire banner coerenti con le ricerche di prodotti o di servizi. Tutti i principali browser hanno una funzione per stoppare questa opportunità da parte dei grandi e piccoli network pubblicitari di essere maggiormente in linea con gli interessi degli utenti, ma Safari ce l’ha abilitata di default e deve essere disabilitata invece che abilitata come succede con altri programmi concorrenti. Era proprio questa funzione che veniva aggirata, dice il Wall Street Journal, mediante un falso modulo che apriva le porte al tracking, modulo che veniva servito con alcuni annunci pubblicitari. Questo permetteva di mandare pubblicità potenzialmente non richieste a chi visitava un significativo numero dei primi cento siti Internet (tra cui YouTube, Aol, About.com, Comcast, NYTimes, YellowPages.com, Match.com e Fandango, tutti apparentemente all’oscuro del falso modulo) ma dava anche la possibilità ad un grande numero di siti Internet di inserire un cookie che avrebbe fatto la stessa cosa.
Google, non sola a perseguire questa pratica di dubbia trasparenza (accanto a Mountain View sembra abbiano usato il sistema anche Media Innovation Group, PointRoll, e Vibrant Media) ma certo il maggior operatore del settore al mondo nel campo della pubblicità on line, ha respinto sdegnosamente le accuse sostenendo che il Wall Street Journal ha travisato quel che accadeva sostenendo che il sistema veniva attivato in conseguenza di una libera scelta degli utenti che avevano accettato il cookie aggiungendo che comunque in esso non venivano archiviate informazioni personali. Nonostante questo il sistema è stato immediatamente disattivato ed è stato eliminato anche un messaggio con cui sul sito di Google viene chiarito il funzionamento dell’interruttore Safari per l’“opt out” dei tracking cookies.