Click. E si scatta la foto. Click, e se ne scatta un’altra. Quanti film, pubblicità e situazioni vengono definite da questo caratteristico rumore: l’otturatore che scatta, il diaframma che si apre, l’immagine che viene impressa in maniera indelebile sul film della pellicola, oppure che colpisce i sensori digitali e viene registrata, convertita e salvata sulla memory card dei modelli digitali? Talmente caratteristico che è stato anche artificialmente aggiunto alle fotocamere digitali inserite nei telefoni cellulari, per scopi meramente di marketing.
Infatti, tanto erano piccole e imprecise e precarie le prime fotocamere digitali integrate nei telefonini che per rendere più “rotonda” la sensazione del proprietario che voleva scattare le foto si è pensato di digitalizzare il caratteristico rumore dell’otturatore, lo shutter, e farlo emettere a pieno volume dall’apparecchio quando si scatta la foto. In pratica, un palliativo che serve a dare soddisfazione a chi lo usa.
Però non a tutti piace: per questo quando il telefono è in modalità “silenziata”, il rumore è azzerato. Pratico, meno fastidioso, anche perché la tendina che si solleva per far passare la luce nella microscopica ottica praticamente non emette suono percepibile se non per le orecchie più fini ed allenate.
Ecco che arriviamo al Giappone, e all’iPhone sbarcato anche là , insieme agli altri 21 paesi in cui è stato commercializzato. Code, gente che lo voleva, gran mossa per il marketing della società che lo ha ottenuto. Però l’iPhone giapponese non è un telefono perfettamente uguale agli altri. Infatti, più che di frequenze, di settaggi o di lingua (tutte presenti su tutti gli apparecchi ovunque vengano commercializzati), si tratta proprio della funzione di “rumore del click”. Che non si può togliere neanche azzerando il volume.
Perché? Non è un caso; è una scelta consapevole che, come riporta il vecchio amico giapponese e compagno di tanti keynote di Steve Jobs, Nobouyuki Hayashi nel suo blog, ha le sue ragioni nel comportamento di pochi “maniaci” che allignano soprattutto nelle grandi città giapponesi come Tokio: l’Upskirt e il Downblouse. Di cosa si tratta? Dell’abitudine di fare fotografie a tradimento con il cellulare silenziato dal basso per scorgere la natura femminile malcelata dalla corta gonna ad esempio delle giovani educande che prendono la metropolitana, oppure dall’altra abitudine di fare fotografie a tradimento con il cellulare silenziato dall’alto per addentrarsi visivamente tra i colli e le valli del non troppo generoso seno asiatico lasciato garibaldinamente in vista da camicette e vestitini succinti e attillati quanto basta.
Ecco, per colpa di pochi maniaci, tutti i telefoni commercializzati in Giappone hanno questo “blocco di sicurezza” che impedisce di silenziare il rumore dello scatto, che in alcuni casi viene reso ancor più rumoroso come ulteriore deterrente anche per le sventurate fanciulle un po’ dure d’orecchie. Gran folla di articoli a seguire l’innocente post nel blog dell’amico e collega giapponese, che è diventato nel mondo anglosassone (il suo post è in inglese) una sorta di riferimento per tirare fuori l’ultima pruderie dedicata ai giapponesi e al loro modo di intendere (secondo gli Occidentali) la vita e soprattutto l’etichetta nei viaggi dei pendolari. Da notare, peraltro, che se qui in Italia qualcuno si scandalizzasse e pensasse a quanto “sono maniaci” i giapponesi, potrebbe fare riferimento anche al video che i colleghi di Repubblica hanno pubblicato del pensionato di Treviglio e alle sue prodezze da supermercato proprio con un telefonino mimetizzato nel cestino della spesa.