Il faccia a faccia tra Apple e la commissione senatoriale che sta indagando sui metodi con cui le aziende americane eludono le tasse, si è concluso come si poteva immaginare: un grazie della pazienza reciproca e un buona fortuna sempre reciproco. D’altra parte era ben difficile che potesse succedere altro, anche dopo i toni non sempre improntati ad un totale ed incondizionato fair play, tra Cook e Oppenheimer da una parte e i senatori Carl Levin e John McCain (con quest’ultimo particolarmente infervorato) dall’altra visto, che era noto fin dall’inizio che Apple non ha violato alcuna legge, ma solo sfruttato i buchi del sistema per pagare meno imposte.
Il dibattito ha ruotato in gran parte intorno alle note società irlandesi, Apple Operations International, Apple Sales International, Apple Operations Europe, che secondo la commissione del senato sono state costituite unicamente per evitare di pagare tasse che sarebbero altrimenti dovute al governo federale (secondo il senatore Levin addirittura queste società di fatto non esistono) e che Apple invece ritiene unità funzionali alla sua attività. Queste entità, ammette Apple, non sono sottoposte al regime fiscale americano, ma operano nella piena legittimità; in particolare Apple Operations International, è una holding, nella visione di Cupertino, che raccoglie denaro che è già stato sottoposto alla tassazione delle nazioni dove vengono venduti i suoi prodotti. Il governo irlandese da parte sua non pretende tasse da queste realtà perché solo quelle che hanno un residenza fiscale in Irlanda sono sottoposte ad una tassazione secondo le norme fiscali locali. Questo sistema, perfettamente legale anche secondo la legge americana, avrebbe permesso ad Apple di pagare pochissimo, se non nulla, su 74 miliardi di dollari di profitti generati con la sua attività internazionale.
Alla conclusione dell’incontro i senatori hanno ricevuto da Cook qualche consiglio per evitare che in futuro le aziende cerchino di trovare strade come quelle percorse fino ad oggi: abbattere le tasse sui profitti delle aziende al 25% e quelle sui profitti generati da attività all’estero sotto il 10% e semplificare il sistema fiscale «una missione che noi in Apple ci sforziamo di applicare in ogni cosa facciamo». Da parte loro i senatori, per bocca del portavoce Levin, non hanno mancato da una parte di ammettere che quel che fa Apple è perfettamente legale, ma dall’altra sembrano essersene andati convinti che il governo dovrà fare qualche cosa per impedire che in futuro siano tre manager seduti intorno ad un tavolo a decidere, pur nella piena legalità, quante tasse dovranno pagare, come accaduto nel 2008 a Cupertino. «Questo non è semplicemente giusto», ha chiosato il senatore Carl Levin.
L’intera sessione è visibile per intero sul sito Internet di C-Span, il canale della TV pubblica USA.