No. Nessuno è dovuto fuggire nei bunker. Non ci sono state scene di panico per le strade. Internet non è crollata e il cielo non è stato oscurato dalle cavallette. Il giorno di DnsChanger è arrivato, insomma, e non c’è stata l’apocalisse.
Non che ci fosse qualcuno tra coloro che hanno poca e forse pure pochissima dimestichezza con la rete che avesse mai avuto qualche dubbio che la fine del mondo informatico così come lo conosciamo sarebbe giunta questa notte, con lo spegnimento del server con cui l’FBI ha sostenuto per dovere alcuni mesi i DNS farlocchi messi in circolazione da una banda di pirati informatici, ma ora anche coloro che si erano rifugiati in luoghi protetti della rete, spenti i computer e rassegnate le ultime volontà informatiche, possono tornare alla luce a fronte delle cifre snocciolate.
In tutto gli italiani colpiti da DnsChanger sarebbero stati 17.074, lo 0,06% di coloro che in maggio (fonte Audiweb) ha usato la rete: 28,1 milioni. Lasciamo a chi ci legge la facoltà di decidere se questi sono i numeri di una catastrofe globale; qui preferiamo citare l’opinione della stessa FBI che definisce “minimale” e “minuscolo” l’impatto avuto dagli strascichi del virus e quelli di Verizon, uno dei principali operatori mobili al mondo che aveva steso una rete di protezione per intercettare e reindirizzare verso una pagina di informazione coloro che erano ancora fermi ai vecchi e disattivati DNS che sostiene “di non avere notato alcunché di significativo”. Non diverso il parere di AT&T secondo cui l’impatto dello spegnimento dei DNS è stato estremamente ridotto. A metterci il carico da 11 è Mikko Hypponen di F-Secure secondo cui «il 9 luglio è stato un non evento». Insomma quel che già sapeva non sarebbe successo, in effetti, non è avvenuto.