Oggi il Tribunale di Milano ha promulgato la sentenza di condanna a 6 mesi di carcere contro tre dirigenti ed ex dirigenti di Google Italia per il caso del video del minore affetto da sindrome di Down sbeffeggiato e insultato dai propri compagni di classe. I dirigenti Google coinvolti sono David Drummond ex presidente del consiglio di amministrazione di Google Italy, ora senior vice president, George De Los Reyes, ex membro del consiglio di amministrazione ora in pensione e Peter Fleischer, responsabile delle strategie per la privacy per l’Europa.
Secondo la sentenza del Tribunale di Milano i tre dirigenti ed ex dirigenti sono responsabili di diffamazione e violazione della privacy per non avere impedito nel 2006 la pubblicazione su YouTube e sul motore di ricerca del filmato. Registrato a maggio del 2006 fu caricato su YouTube l’8 settembre: il video è stato rimosso solamente dopo 2 ore dopo la prima segnalazione da parte della Polizia Postale ma è circolato in Rete per diverse settimane. I ragazzi responsabili degli insulti al compagno diversamente abile sono stati condannati nel dicembre 2008 a seguire un percorso di recupero di 10 mesi come volontari in una associazione per disabili, mentre i genitori del ragazzo insultato hanno ritirato la querela contro Google in seguito alle scuse e alle iniziative di Big G in ambito sociale.
Ora tutta l’attenzione del mondo osserva con attenzione e non senza preoccupazione la prima sentenza penale al mondo che riguarda la diffusione dei contenuti su Internet. Il New York Times ha già definito la sentenza come storica per l’evoluzione giuridica della Rete. Osservatori e commentatori in Italia (dove qualcuno comincia a paragonare il nostro sistema repressivo sui contenuti in rete a quello cinese) ma anche all’estero esprimono critiche sulla sentenza del Tribunale di Milano che minaccia i presupposti di libertà di diffusione dei contenuti in Rete e l’inesistenza di un obbligo per il controllo preventivo da parte degli operatori e degli Internet Service Provider.
“I nostri colleghi non hanno niente a che fare col video in questione: non sono nel video, non lo hanno girato, non lo hanno caricato, non lo hanno visionato” dichiara Marco Pacini, responsabile rapporti istituzionali di Google continuando: “Ci troviamo di fronte ad un attacco dei principi fondamentali di libertà sui quali è stato costruito Internet”. I legali di Big G hanno già annunciato che faranno ricorso in appello.