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Apple, dov’è il mio NetBook?

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Come mai non è arrivato un portatile-bonsai, di quelli basati magari sull’interfaccia dell’iPhone di cui si parla da tempo nei meandri della rete? Perché non è neanche arrivato un MacBook “lite” da 6-700 dollari, che secondo gli analisti che si erano gettati a corpo morto sulle indiscrezioni, avrebbe aperto uno spicchio enorme di mercato ad Apple? Perché, perchè, perché?

Le risposte ci sono e sono sotto il naso di tutti. Basta aver voglia di guardare. Cominciamo da quello che ha detto Steve Jobs al termine della presentazione, durante l’incontro con i giornalisti (parte non compresa nel podcast video rilasciato da Apple). Il mercato dei NetBook o portatili bonsai, quegli aggeggi da 300 euro con tastiere minimali, dotazioni super-leggera e schermi da 8-10 pollici, è ancora immaturo. Anzi, è decisamente immaturo.

Il ragionamento di Jobs poggia su due punti impliciti. Il primo: la gente vuole usarli i portatili che compra. Un NetBook, interessante quanto si vuole come idea, non è utilizzabile. Produrre un “iphonone” o un “ipoddone touch” con schermo da 9 pollici (anziché gli attuali 3,5) non ha senso. Non sta in tasca e ruba mercato sia ai portatili che all’iPhone-iPod.

Oltretutto, il mercato “esplosivo” si basa sull’idea che questi computer praticamente te li tirano dietro quanto al prezzo. E questo con margini per i produttori inesistenti (o addirittura in lieve perdita). Perché lo fanno? Perché non riescono più a vendere portatili, in un mercato saturo, in cui non c’è differenziazione se non per i prodotti Apple. E quindi perché Apple dovrebbe abbandonare il segmento che sta dominando per entrare in quello residuale costruito dagli esuli del suo stesso mercato?

Secondo punto: gli inusabili NetBook sono proprio inusabili. A parte che per i giornalisti che non li provano nemmeno ma cantano le loro glorie in pianta stabile. Praticamente, è funzionale solo la versione con Windows (perché Linux, casomai non si fosse capito, non è un prodotto adatto alla massa degli utenti) e anche qui con dei limiti paurosi. Il risultato? Quando Jobs ha lanciato un anno fa l’Air lo ha detto chiaro e tondo: il computer deve essere completo e funzionare bene, sennò è uno scherzo che non vogliamo giocare ai nostri clienti. E quindi l’Air è il massimo di “leggero” che Apple fa: costa tanto ma vale altrettanto e, tra parentesi, costa sempre meno della concorrenza di Ibm e pochi altri che si avventurano tra gli ultraleggeri e completi.

Infine, i margini. Apple è una azienda che vende computer, e produce software (dal sistema operativo a iLife e iWork compresa la suite per la produttività  audiovideo professionale) e realizza servizi (iTunes store, MobileMe) per accelerare e massimizzare la vendita di computer. Riesce ad essere più che in attivo con i suoi prodotti software, ma non è una software house. Non si fosse capito, allora potrebbe vendere il suo sistema operativo (che oltretutto viaggia su Intel) ad altri produttori e realizzare così guadagni senza dover progettare, commercializzare e assistere l’hardware. Ma non fa così. Perché quando l’ha fatto si è sparata sui piedi (anni novanta, guerra dei cloni, vi ricordate?).

Quindi, non ci sperate: Apple nelle acque basse dove annaspano i concorrenti strangolati proprio dalla classe dei prodotti Apple non ci va. Non le conviene, non è il suo mondo e soprattutto sa fare di meglio là  dove realizza bellissimi computer con innovative tecnologie di produzione e massimo rispetto dell’ambiente. Cosa volete di più?

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