Passano gli anni e certe cose si tendono a dimenticare. E poi il futuro arriva, solo che uno non se ne accorge perché arriva in ordine sparso, non ordinato e pettinato come i futurologi e gli analisti immaginano. Però fino a pochi mesi fa, e per un ventennio, ci siamo tutti interrogati su un punto che oramai è risolto.
Il punto è: come cambieranno le nostre vite quando potremo avere informazioni sempre con noi, in tasca, ovunque andiamo, pagando e non pagando per averle? Cosa cambierà quando saremo “always on”? Cosa cambierà quando i contenuti digitali, quella stessa roba che analogicamente adesso non vuole più quasi nessuno, mettendo in crisi decine e decine di aziende e mettendo a rischio centinaia e centinaia di posti di lavoro, arriveranno “push” direttamente sui nostri apparecchi e potremo pagarli una inezia, ancora meno di quanto possiamo pensare?
Vedete, sono anni che ci pensiamo, eppure adesso sta succedendo. Succede con la piattaforma iPhone/iPod touch, succede con due miliardi di download in due anni, il secondo miliardo nella metà del tempo del primo. Con 50 milioni tra iPod touch e iPhone pronti a ricevere le 85mila applicazioni preparate da 125mila sviluppatori dedicati alla piattaforma.
Secondo una ricerca condotta da Yankee Group, basata sull’analisi di uso dell’iPhone di circa 1.200 utenti, è risultato che il 18% delle applicazioni scaricate sono a pagamento. Non costano cento dollari, e neanche 50. Ma sono in media in crescita, sia per numero medio che per costo medio. In sostanza, la notizia di due anni fa e dell’anno scorso era che Apple con iPhone aveva ampliato radicalmente l’uso del telefono (e dell’iPod touch) rispetto alle generazioni precedenti e concorrenti di smartphone, adesso è che non solo la gente usa questi apparecchi molto più “a fondo” di quelli della concorrenza, ma anche che ci spende dei soldi.
Pochi soldi, sono micro-pagamenti, ma li stanno facendo sempre più persone. In sostanza, il mercato sta cambiando radicalmente: le polemiche sui prezzi eccessivamente bassi – tutte fatte dagli sviluppatori che sono abituati a programmare su computer e si aspettano prezzi e margini molto robusti – hanno dimostrato che questo mercato è popolato da dinosauri, pronti ad essere sbranati vivi da una nuova leva di giovani e rapidissimi mammiferi carnivori, cioè i ragazzi e le ragazze che riescono a fare tutto da soli, programmando in due settimane una nuova applicazione su iPhone e poi via con la prossima.
Il punto adesso è capire se le applicazioni costeranno sempre di più, se ci sarà una diversificazione tra Web sul computer e Internet sugli smartphone (in definitiva, molto spesso si paga qualche centesimo per avere cose che ci semplificano la vita sull’iPhone rispetto al Mac o PC), se il modello evolverà ancora sempre più verso il pagamento o di nuovo verso il gratuito.
Adesso, sostengono alcuni analisti, è il momento forse più forte che mai per l’iPhone. Domani magari sarà la concorrenza a dominare oppure una nuova generazione di apparecchi: un iTablet ad esempio. Ma la sensazione di questi mesi è che – come dice Rob Enderle dell’Enderle Group – ci siano ben poche cose che non si possano fare con un cellulare per quanto riguarda Internet, e che tutte o praticamente tutte si facciano con l’iPhone: “Siamo i testimoni della fine del metodo tradizionale di fornitura del software. App store è l’indicatore dei tempi che stanno cambiando alla grande”.