Google fa sapere che non avrà altra scelta se non quella di bloccare le ricerche dall’Australia se il “News Media Bargaining Code” andrà in porto. Si tratta di norme che prevedono di corrispondere importi agli editori che scelgono di consentire a Google o a Facebook di utilizzare il proprio flusso di notizie all’interno dei feed dedicati degli OTT (Over-The-Top).
Un nuovo codice normativo prevede di stabilire i costi delle transazioni economiche relative al mercato delle news, soluzione che, a detta di Google, è impraticabile, al punto da minacciare la chiusura del motore di ricerca in Australia.
Da agosto dello scorso anno, Google e Facebook sono impegnate a battagliare su tale questione complessa con l’Australian Competition and Consumer Commission (ACCC) per una norma prevista da dicembre dalla Camera dei Rappresentanti. Secondo il governo la norma in questione è necessaria per stabilire i compensi e allineare squilibri di potere contrattuale tra il settore dei media e le più importanti piattaforme digitali.
Secondo Google la norma è “sleale” e mette a rischio la funzionalità di ricerca; secondo Big G la norma prevede una procedura di arbitrato iniqua che ignora il valore reale che Google offre agli editori, dando il via ad un numero enorme e irragionevole di richieste.
Mel Silva, il responsabile di Google per l’Australia e la Nuova Zelanda, ha espresso preoccupazione per quanto sta per essere approvato, a livello normativo «Insieme al rischio finanziario e operativo ingestibile – ha detto Silva -, se questa versione del Codice diventasse legge, non ci darebbe altra scelta che smettere di rendere disponibile il motore di ricerca Google in Australia».
Google dovrebbe in pratica negoziare il prezzo dei servizi con gli editori e – in caso di mancato accordo – sottostare a un arbitrato esterno che deciderebbe il prezzo corretto per la transazione economica. Per Big G si tratta di qualcosa di inaccettabile. Non la pensa così il premier australiano, Scott Morrison: “Di certo Google – ha riferito Morrison – non può stabilire come funziona la legge in Australia e non può stabilire per noi le regole. Se gli imprenditori vogliono lavorare in Australia sono i benvenuti, ma non rispondiamo alle minacce».