La storia è quella cosa che, quando comincia ad accumularsi, fa impressione. Perché quello che un tempo era rivoluzionario all’improvviso diventa consolidato, acquisito e poi, in qualche modo, da superare. Ecco, l’App Store del Mac oggi compie dieci anni. È più giovane di un paio di anni rispetto all’App Store dell’iPhone, che è stato lanciato nel luglio del 2008. Invece, il Mac App Store ha fatto il suo esordio con Mac OS X Snow Leopard (che era la versione migliorata di Mac OS X Leopard) release 10.6.6. Dieci anni fa, tondi tondi. Ed è stata una rivoluzione non da poco.
Il Mac App Store infatti ha aperto i battenti con più di mille app e lo stesso modello di business di quello per iPhone. Ma con delle importanti differenze. Mentre l’iPhone e poi l’iPad erano macchine “chiuse”, nelle quali è impossibile installare altro software se non facendo il jailbreak, il Mac non lo è. Mentre su iPhone e iPad tutto il software viene visionato e approvato, in parte per regole di opportunità ma anche e soprattutto per assicurarsi che funzioni e contenga le librerie corrette e faccia quel che deve fare, su Mac tradizionalmente non è così.
Nel suo primo giorno di vita il Mac App Store ha registrato un milione di download delle sue mille app, che sono salite a 100 milioni nel corso di un anno (fino a dicembre 2011). La polemica che da sempre c’è stata dietro allo store su Mac è inferiore a quella che si vede sullo store iOS/iPadOS, ma sussiste: la libertà di installare app che facciano cose non previste o non consentite da Apple.
Su Mac però il discorso è diverso: oggi come dieci anni fa possono essere installati tre tipi di software (ma oggi è diventato ancora più chiaro). Su macOS Big Sur sono le app del Mac App Store che sono in una sandbox e che proteggono i dati dell’utente dall’accesso di altre app. Le app che vengono create da sviluppatori certificati ma non caricate su Mac App Store vengono “notarizzate”, cioè sono firmate da certificati digitali di Apple (l’idea è che sia stato apposto il “sigillo virtuale” di Apple con una funzione di tipo notarile) e possono essere fatte funzionare da subito sull’attuale macOS Big Sur (da Catalina in avanti) essendo sicuri che non ci sia malware. Infine, ci sono le app fatte da sviluppatori senza certificato e senza controllo, che vengono scaricate ed eseguite a rischio e pericolo dell’utente.
Diciamo subito che ci sono due filoni diversi di ragionamento che gli store di Apple si portano dietro (oltre al fatto che i due store stanno convergendo e probabilmente a breve non ci sarà più nessuna distinzione tra i due). La prima è quella degli sviluppatori, che non vogliono pagare la “tassa” del 30% ad Apple. Ci sono state varie mosse da entrambe le parti, sia con la creazione degli acquisti in-app che con la recentissima riduzione al 15% per chi è sotto il milione di euro di fatturato, sia con la creazione degli abbonamenti, i bundle di vendita oppure la scelta di uscire dallo store.
Quest’ultimo desiderio di evasione è dettato sia dal desiderio di “scampare” la tassa, ma anche dalla mancanza di altre caratteristiche del Mac App Store: non c’è la possibilità di fare un prezzo speciale per chi aggiorna da una versione all’altra (e questo è un problema soprattutto per chi sviluppa software su Mac); non c’è la possibilità di “evadere” dalla sandbox per gli sviluppatori più certificati e stimati (e questo forse è il vero problema); non c’è TestFlight per creare un ambiente di beta testing per le app del Mac.
Apple in realtà ha aggiustato nel tempo anche le regole per la sandbox, e questo ha permesso ad app popolari come BBEdit e Transmit di tornare nello store, ma anche di far arrivare app come Office di Microsoft e Lightroom di Adobe. Le app prima erano disponibili ma non nello store.
Se molti leggono lo store come una forma di controllo assoluto da parte di Apple e in generale una cosa da evitare, però, ci sono due aspetti che vale la pena sottolineare. Il primo è che lo store è uno strumento comunitario molto ben gestito. Si possono scoprire le app grazie al lavoro della redazione di Apple e alle classifiche di download e popolarità. E ci si può orientare con le recensioni, che sono gestite bene (a differenza di quelle prezzolate su Amazon, per dire) e generalmente portano valore a chi le legge per capire se un software è valido o no. Da questo punto di vista lo store è uno strumento democratico per non dare vantaggi ingiusti ai big del software a scapito dei piccoli, e permette anche di “scoprire” app nuove e interessanti in maniera equilibrata.
Inoltre, secondo punto, lo store è anche uno strumento gran comodo sia per gli sviluppatori che per gli utenti. Infatti, con lo store gli sviluppatori non devono preoccuparsi del deployment e della creazione di meccanismi di installazione e aggiornamento delle loro app. Non si devono neanche preoccupare del costo di hosting e banda per gestire il download delle loro app. E infine non si devono preoccupare della gestione della parte economica (vendere in valute diverse, in Paesi diversi) o normativa. Questo è un vantaggio enorme che viene spesso sottovalutato ma che, con la diversificazione della rete, diventa sempre più importante. E il vantaggio in realtà c’è anche per l’utente.
Non tutti cambiano Mac in continuazione, ma la gestione di un nuovo computer è comunque onerosa in termini di configurazione, installazione, licenze e via dicendo. Il cloud per i dati e il Mac App Store come “gestore delle app” invece è una coppia di strumenti molto potenti. Dopo le feste, e con l’uscita dei nuovi MacBook e Mac mini M1, molti si saranno trovati a ripartire su un nuovo Mac. Chi scrive lo fa per lavoro da computer che testa e recensisce e quindi procede a installare da zero nuovi Mac più volte all’anno. Il processo, che vent’anni fa era relativamente semplice (bastava clonare il disco e ripartire) nel tempo è diventato sempre più complesso ma, negli ultimi due anni, si sta semplificando sempre di più.
Come accade per gli iPhone e gli iPad, reinstallare i dati e le app è una procedura un po’ lunga ma sicuramente funzionale ed estremamente semplificata. Non ci sono codici da inserire, licenze da trovare, autenticazioni da portare a termine. Il Mac App Store introduce un elemento di fiducia all’interno di una piattaforma sostanzialmente aperta e la rende in questo modo più sicura riuscendo a mantenerla flessibile. È un equilibrio sottile, criticato, guadagnato e conquistato dalle spinte in direzioni diverse di utenti, sviluppatori, in parte dei regolatori e ovviamente anche di Apple.
Dopo dieci anni questo equilibrio è molto interessante perché lo store è diventato un ricettacolo di moltissimo software. Questa fotografia, a dieci anni dalla sua nascita, è destinata a cambiare perché la “fusione” potenziale con l’App Store di iOS/iPadOS porterà di sicuro a una ulteriore evoluzione. C’è dal 2019 la possibilità per gli sviluppatori che usano Xcode 11 e superiori di creare un’unica versione delle loro app e renderla disponibile (con gli asset grafici e la UX adeguata) dapprima per iPad e Mac, adesso anche per iPhone.
Il passaggio all’architettura Apple Silicon con il primo processore M1 apre le porte a un modo completamente nuovo di immaginare il Mac App Store (e l’App Store degli altri apparecchi). Il caso vuole che questo accada al compimento dei dieci anni dello store, che entra così nella sua seconda decade che lo vedrà sicuramente cambiare in maniera radicale.