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Le etichette sulla privacy di WhatsApp e Facebook Messenger fanno paura

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Si parla sempre più spesso di privacy, ed è normale: gli smartphone sono costantemente in tasca o in mano e diventano più potenti anno dopo anno: ci facciamo di tutto e li usiamo dappertutto, inclusi vita privata e intimità. Se Apple ha da poco lanciato le etichette per la privacy è solo perché sta cercando il modo migliore per continuare a vendere i propri dispositivi, affidandosi cioè alla fiducia dei propri clienti, che la scelgono anche perché è tra le poche che dichiara di investire molte risorse in questo aspetto.

E forse ha trovato la strada giusta perché da quando ha presentate al mondo le etichette per la privacy, è finita nel mirino di diversi giganti del settore, che in questa nuova soluzione hanno visto minacciati i propri introiti. Ce lo sentiamo dire spesso: se una cosa è gratuita, vuol dire che chi la offre sta traendo i propri guadagni in qualche altro modo. Quasi sempre la moneta di scambio sono i dati degli utenti, che vengono raccolti e venduti alle aziende pubblicitarie per permettergli di proporre inserzioni mirate. Ci avete mai fatto caso? Magari cercate su Google un paio di scarpe, e nei giorni successivi ve le vedete suggerire dai riquadri pubblicitari presenti tra le pagine dei siti web che visitate.

Tornando al discorso principale, tra le aziende che più si sono scagliate contro le etichette della privacy di Apple c’è Facebook, che allo scadere del 2020 ha lanciato una dura campagna pubblicitaria attraverso le principali testate americane alla quale ha risposto direttamente Tim Cook con un tweet.

Etichette sulla privacy a confronto per quattro app di messaggistica

Cosa sono queste etichette per la privacy che si è inventata Apple? Semplicemente, il modo con cui si avvisano gli utenti dei dati tracciati dalle singole applicazioni. Prima di scaricarle si possono leggere quali sono i dati che vengono raccolti e che fine fanno: sono elencati in una nuova sezione, denominata appunto Privacy dell’app, presente nella scheda sull’App Store. Al primo avvio, il sistema chiede conferma all’utente: vuoi permettere all’app di tracciarti?

Ora, per capire il motivo per cui Facebook si sia arrabbiata tanto basta guardare i dati che traccia con l’app Messenger. Forbes si è presa la briga di confrontarli con quelli raccolti da altre tre applicazioni di messaggistica distribuite tramite l’App Store, in modo da poter mettere le app sullo stesso piano. In un certo senso potrebbe sembrare una buona pubblicità per Signal, l’app blindata che tanto piace ad Edward Snowden. E’ infatti l’unica che non traccia gli utenti: l’unico dato personale che viene memorizzato è il numero di cellulare e l’app – si legge – non lo collega comunque all’identità della persona.

In seconda posizione c’è iMessage di Apple, che invece memorizza il numero di cellulare, la cronologia di ricerca, l’ID del dispositivo e l’indirizzo email. In una ipotetica classifica di questo tipo seguirebbe poi Telegram, che non viene presa in considerazione dalla fonte ma ce la mettiamo noi, perché sebbene non sia diffusa come le altre, dentro ci girano 400 milioni di persone (dato di aprile 2020, ndr): l’app raccoglie soltanto le informazioni di contatto dell’utente, l’ID del dispositivo e la rubrica, informazioni che poi, come in iMessage, vengono collegate all’identità della persona.

Nel confronto di Forbes compare poi Whatsapp, tra le app di messaggistica più utilizzate al mondo, e qui le cose cominciano a farsi interessanti. Oltre all’ID del dispositivo, il numero di telefono e la mail, memorizza anche le informazioni pubblicitarie, la cronologia degli acquisti, la posizione grossolana dell’utente, i contatti, i dati relativi all’uso del servizio clienti, le informazioni sui pagamenti e poi i dati sui crash, sulle prestazioni e altri dati diagnostici.Etichette sulla privacy a confronto per quattro app di messaggistica

Se già sembra un’app piuttosto invasiva, è niente in confronto a quel che traccia Facebook Messenger. L’immagine di confronto pubblicata dalla testata, che alleghiamo nell’articolo, lo rende esplicativo già a colpo d’occhio: parliamo di oltre 60 informazioni che vengono raccolte dall’app compresa la posizione precisa dell’utente, l’indirizzo di casa, foto, video, audio, la cronologia web e “altri tipi di dati” per “altri scopi” all’interno di una generica sezione denominata “altri dati”, come a dire che quel che non è stato scritto in chiaro potrebbe non essere escluso dal processo di raccolta dei dati.

A questo punto resta da vedere quante persone effettivamente si prendano la briga di leggersi le etichette sulla privacy delle app e quante si lascino invece influenzare dalla scelta del servizio di messaggistica al quale affidare le proprie comunicazioni. Tutti gli articoli di macitynet dedicati alla privacy sono disponibili da questa pagina. In questo articolo invece come trovare e consultare le etichette sulla privacy di Apple.

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