Per la prima volta da 1986, negli USA le vendite dei dischi in vinile superano quelle dei compact disc segnando una rinascita dei vecchi supporti per la memorizzazione, in altre parole gli LP, i dischi sui quale vengono incisi in forma analogica gli album discografici.
Bloomberg riferisce che nella prima metà dell’anno le persone hanno speso 232,1 milioni di dollari su supporti fonografici limited-play ed extended play (con più tracce), dato che a detta della Recording Industry Association of America, eclissa i 129,9 milioni spesi in compact disc.
I dischi in vinile sono stati ufficialmente introdotti nel 1948 dalla Columbia records negli Stati Uniti d’America come evoluzione del precedente disco a 78 giri; il formato ha avuto enorme successo tra gli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, superati ad un certo punto dalle musicassette prima e dai compact disc (CD) e dai formati digitali dopo.
A partire dalla fine degli anni ottanta, l’avvento del compact disc mise gradualmente da parte gli LP, facendoli diventare un prodotto di nicchia per collezionisti e appassionati. Le vendite dei supporti in vinile hanno cominciato a crescere nuovamente dal 2005, con sempre più persone appassionate dal “calore” e dai suoni prodotti dai vecchi supporti digitali e rispettivi riproduttori (giradischi).
L’anno scorso l’LP più venduto negli USA è stato Abbey Road dei Beatles. Il mercato complessivo dei supporti fisici ha ad ogni modo registrato un calo nel 2020 a causa della pandemia del Coronavirus che ha bloccato molte persone in casa impedendo di visitare i negozi di dischi. Nella sola prima metà dell’anno è stato registrato un calo del 48% dei CD. Nonostante l’aumentato interesse e la crescita, i supporti fisici continuano a essere prodotti di nicchia ed è dallo streaming che arriva l’85% dei ricavi complessivi nel settore della musica.