Google si prepara ad affrontare una causa per presunte condotte anticoncorrenziali: dovrà rispondere alle accuse di monopolio, con esclusione dei concorrenti e altri comportamenti illegali, come la commissione del 30% sulle transazioni del Play Store.
Presentata presso il tribunale federale della California dallo studio legale Hagens Berman, la causa chiede un provvedimento ingiuntivo e monetario nei confronti di Google per presunte pratiche anticoncorrenziali e commissioni sovracompetitive per la distribuzione di contenutii sul Google Play Store, oltre che per l’elaborazione dei pagamenti in-app. L’unico attore della causa, al momento, è Pure Sweat Basketball, sebbene lo studio legale stia sollecitando altri sviluppatori a farsi avanti al fine di unirsi come parte di una class action più ampia.
Secondo un comunicato stampa, la causa mira a far luce sul “continuo abuso del potere di mercato da parte di Google, tra cui l’esclusione della concorrenza, il soffocamento dell’innovazione, l’inibizione della scelta del consumatore e l’imposizione di Google agli sviluppatori di una tassa del 30% visto come costo della transazione”. Google, come Apple, detiene una percentuale dei pagamenti dalle transazioni eseguite su app store e dagli acquisti in-app, inclusi gli abbonamenti.
Google sfrutterebbe, a dire degli attori, “il potere di mercato schiacciante” per raccogliere “più soldi dagli sviluppatori di quanto dovrebbero pagare” per la distribuzione delle app. La causa denuncia la violazione dello Sherman Act e della California Unfair Competition Law.
Questa tariffa elevata aumenta artificialmente il prezzo dei prodotti venduti sullo store e senza l’esclusione posta in essere da Google, il mercato delle app Android avrebbe una concorrenza maggiore, più significativa ed efficace
Ancora, si legge nel ricorso, i contratti stipulati da Big G e le sue pratiche prepotenti rubano ossigeno anche a concorrenti ben dotati di risorse, come Amazon, derubando il mercato di mezzi innovativi per distribuire app a costi inferiori per gli sviluppatori.
Hagens Berman non è estraneo a casi critici nei confronti di grandi firme tecnologiche, ed è spesso ricercato come consulente per cause legali che coinvolgono Apple. Nel 2019, lo studio legale ha presentato una class action simile contro il produttore di iPhone per la sua quota annuale di 99 dollari addebitata agli sviluppatori, e anche per la struttura dei prezzi dell’App Store. L’azienda è stata anche coinvolta in azioni legali contro il throttling di iPhone e le sostituzioni sotto AppleCare+ con prodotti ricondizionati. Nel 2013, Hagens Berman ha sostenuto con successo una class action contro i prezzi degli e-book che ha portato a un accordo di 450 milioni per i consumatori.
Per anni, Google è riuscita a farla franca con pratiche anticoncorrenziali diffuse che tengono in ostaggio gli sviluppatori di app e li derubano dei profitti che avrebbero altrimenti ricevuto per il proprio lavoro. Abbiamo invocato Google e Apple per ciò che riteniamo essere un comportamento improprio e illegale che danneggia gli sviluppatori di app e, oltre che i consumatori, e abbiamo intentato una causa contro Amazon per il suo comportamento monopolistico che ha fatto aumentare il costo dei beni essenziali durante il COVID -19
Mentre sia Apple che Google sono sotto il microscopio per potenziali pratiche anticoncorrenziali, fino ad ora è stata Apple a essere attentamente esaminata sulle sue pratiche commerciali relative all’App Store. Oltre a un’indagine antitrust negli Stati Uniti in corso, la società è stata colpita questa settimana da una causa privata da parte di Epic Games, che si oppone alle tariffe dell’App Store. Epic ha anche citato in giudizio Google per problemi identici.
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