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Nintendo: quando troppo successo fa male (alle terze parti)

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Wii è talmente economico che riesce a violare una delle norme consuetudinarie più consolidate del mercato dei videogame: «la console viene venduta in perdita, è il gioco che produce gli utili». Invece, Wii produce un utile per ciascuna console venduta e il margine è tale da consentire a Nintendo di accludere un titolo gratuitamente (in Europa e negli Usa e Australia), cioè Wii Sport, realizzando lo stesso un utile complessivo. Ma l’economicità  della piattaforma non è l’unico aspetto alla base della strategia Oceano Blu della quale parlavamo nel primo articolo della serie. Wii conviene anche per le terze parti, i produttori di software indipendenti. Anche se c’è un “ma” che potrebbe pesare parecchio sul futuro della console di Nintendo.

La struttura del mercato è, in sintesi, più o meno questa: le grandi case realizzano le console e i giochi della “prima parte”, che di solito sono anche titoli con i franchising più caratteristici di ciascuna console, cioè che non corrono il rischio di finire sulle console degli avversari e quindi fidelizzano gli appassionati (con l’eccezione che conferma la regola di Sega, che dopo la chiusura della sua divisione hardware ha cominciato a pubblicare i giochi del suo beniamino il porcospino Sonic più o meno per tutti). Qui ci sono i vari Super Mario, Donkey Kong e Pokemon, per citare da sola Nintendo (e il fatto che siano parecchi tornerà  utile più avanti) mentre per Sony si può forse far riferimento al solo Crash Bandicott (e il fatto che praticamente non ci siano beniamini “locali” è rilevante, come vedremo anche in questo caso più avanti).

A questo punto, per il successo di una console la palla passa alle software house indipendenti, divise più o meno tra editori (come Electronic Arts EA, Square-Enix oppure la britannica Eidos) che fanno la funzione di vendita/promozione e in parte distribuzione, esattamente come le etichette discografiche, e i team di sviluppatori che realizzano materialmente i giochi. Questi possono essere team interni della casa editrice (un team di EA), oppure indipendenti free-lancer che si appoggiano alla singola casa. Per intendersi, i giochi di uno dei franchise più famosi della storia del videogame, cioè Final Fantasy (che in questi mesi compie la bellezza di vent’anni), vengono nella versione “principale” da due team interni di Square-Enix, mentre per le differenti versioni “secondarie” o le conversioni tardive a nuovi formati (dall’originale SuperNintendo o Playstation 1 a Nintendo Ds o Psp, per capirsi) sono realizzati da società  esterne diverse con competenze che cambiano generalmente a seconda dell’hardware a cui si fa riferimento. I team interni della “vecchia” Square, per la cronaca, sono otto, mentre altri due appartengono alla “vecchia” Enix, cosicché dopo la fusione dei due editori giapponesi ci sono ben dieci team di programmatori con singoli registi e produttori che da soli basterebbero per fondare una casa di programmazione di medio livello…

Un esempio dei free lancer del mercato è il gruppo di programmatori ex-Square, soprattutto artisti di grafica 2D, che si è staccato dalla casa madre, si è messo in proprio fondando la Brownie Brown nel 2000 e lavorando da un lato allo sviluppo di propri titoli (come Magic Vacation) e dall’altro realizzando sequel di titoli precedenti (come Mother 3) oppure sviluppando porting con la direzione dei creatori originali della serie “principale” per console “minori” come il Nintendo Ds (su cui sono specializzati) ed è il caso dei nuovi titoli della serie The World of Mana (la rielaborazione dell’originale ed epico franchising giapponese Seiken Densetsu) sotto la direzione del creatore Koichi Ishii per i titoli Sword of Mana e Heroes of Mana.

Come per Hollywood o per l’industria discografica, anche quella dei videogiochi pur essendo finalizzata all’intrattenimento è una vera e propria industria con dinamiche economiche e soprattutto addetti che fanno di questo lavoro la loro professione: si creano perciò diversi tipi di figure e di rapporti di lavoro non solo per i singoli ma anche per le società  coinvolte nella produzione. Vista l’ampiezza del mercato che, giova la pena ricordarlo, è economicamente superiore al fatturato di quello del cinema hollywoodiano o di quello musicale, le società  coinvolte sono davvero parecchie e gli scenari possibili dei generi più svariati.

Nella distinzione introdotta al principio, tra sviluppatori interni ai tre grandi produttori di console e quelli esterni o indipendenti, si sono fatte un po’ di semplificazioni ma la struttura in generale è questa, con un tassello mancante. Si parla di prime parti (le software house interne al produttore di hardware) e di terze parti (le società  indipendenti esterne) e nel conto pare si saltino le “secondi parti”, che in realtà  ci sono e contano anche molto. Si tratta delle software house-publisher indipendenti che si legano contrattualmente ad uno specifico produttore di console. Per quanto usato molto raramente – perché la distinzione è tuttavia abbastanza ambigua – una società  come ad esempio la giapponese Camelot Software Planning che nel tempo ha realizzato per Nintendo titoli come Golden Sun, Mario Golf e Mario Tennis è una “seconda parte”.

Il rapporto tra un produttore di console e gli sviluppatori indipendenti o terze parti è semplice: il produttore realizza la console e gli strumenti necessari a programmarla (kit per gli sviluppatori, manuali di specifiche, software ancillare come i compilatori per quella architettura e via dicendo) e richiede tramite un programma di adesioni l’acquisto del kit da parte delle terze parti, realizza un controllo di qualità  sui titoli che verranno pubblicati (più o meno intenso, a seconda delle abitudini delle varie società , come vedremo) e poi guadagna una percentuale di royalties per ogni copia del gioco venduta per la propria console.

Nintendo, in questo “gioco delle parti” è all’opposto di Sony. Mentre la casa di Kyoto è molto stringente sul controllo di qualità  e anche sulla pubblicazione dei giochi che avvengono spesso attraverso fabbriche di suoi fornitori per via del tipo di hardware proprietario utilizzato (tipicamente le cartucce oppure i media come i GameCube Disc oppure i dischi del Wii), Sony è alquanto liberale (il supporto standard Cd e poi Dvd facilita ulteriormente questa politica).

E mentre Nintendo cerca di entrare in parte anche nel processo creativo, se non altro con una serie di politiche di qualità , Sony lascia fare più o meno quel che si vuole. Nel tempo, Nintendo è diventata più stringente per cercare di avere pochi titoli ma molto buoni – scottata soprattutto dal cattivo andamento del mercato dei giochi per Nintendo 64 – mentre Sony ha cercato di capitalizzare la conquista del mercato lasciando sostanzialmente liberi più o meno tutti di fare quel che volevano. Ecco perché tanti titoli, soprattutto nella parte finale della vita di Playstation 1, che non valevano sostanzialmente il costo del supporto ottico sul quale venivano pubblicati. Cosa c’entra tutto questo con i rischi per il futuro di Nintendo?

La casa di Kyoto è anche la più forte produttrice di titoli di prima parte. Vale a dire che la maggior parte dei giochi pubblicati (e che vendono molto bene) per le console di Nintendo generalmente viene direttamente o indirettamente da Kyoto. A fare eccezione è stata nel tempo sostanzialmente solo Square (che poi ha “tradito” passando con Final Fantasy VII a Playstation 1 abbandonando Snes-N64 per la troppa limitatezza del supporto a cartuccia rispetto ai tre Cd necessari a realizzare il titolo in questione) e poi la britanica Rareware con i suoi Donkey Kong, GoldenEye 007, Banjo-Kazooie, Conker’s Bad Fur Day e vari altri, che successivamente è stata acquistata nel 2002 da Microsoft per la bella somma di 377 milioni di dollari e adesso è diventata “prima parte” nella realizzazione di giochi per Xbox 360 come Perfect Dark Zero.

La capacità  da parte di Nintendo di produrre i suoi propri giochi non è irrilevante: poco più della metà  delle copie vendute per i giochi del Wii sono titoli realizzati dalla stessa Nintendo, e i vertici stessi dell’azienda si rendono conto del problema tanto che il numero uno di Nintendo, Satoru Iwata, ha recentemente dichiarato che per il futuro (un anno a partire da adesso) la quota Nintendo calerà  ad un terzo. Certo, il punto non è che Nintendo sia incolpabile di fare giochi troppo belli rispetto agli altri. Anzi, la possibilità  di fare giochi internamente è stata quella che nel tempo ha offerto la massima integrazione hardware-software ed ha garantito la “tenuta” del GameBoy durante gli anni bui della crisi post-Snes, quelli cioè che seguono l’entrata nel mercato di Sony con Playstation 1 nel 1995. Il fatto è, però, che il dominio di Sony ha voluto dire per poco più di un decennio che i suoi sviluppatori indipendenti erano molto felici: il successo di Playstation era anche il loro successo. Adesso, il successo di Wii non è necessariamente il loro successo.

Oggi nessuno può permettersi di ignorare il Wii. Al termine dell’anno, passata la stagione dei regali natalizi, anche con una flessione media di vendite e un sostanziale recupero di Playstation 3 (o di Xbox), Wii sarà  comunque il dominatore per quantità  del mercato. Il successo finanziario, ad esempio, è stato tale da proiettare il titolo borsistico di Nintendo alle stelle (e per conseguenza trasformare l’ex numero uno della casa di Kyoto in uno dei cinque uomini più ricchi del Giappone grazie alle azioni accumulate negli anni) e addirittura far superare come valore sul mercato – per poche ore – il colosso dell’elettronica di consumo Sony arrivando alla decima posizione delle prime aziende nipponiche.

Il merito è anche del Wii, che anche sul mercato degli sviluppatori è la console più attraente da un punto di vista economico: sviluppare un gioco per Wii (che oltretutto è una macchina anche “facile” da programmare, a differenza di quelle di Sony che sono sempre difficili da sfruttare al meglio per i programmatori, soprattutto nei primi tempi quando le librerie software a disposizione sono poche e poco efficienti) costa in termini di sforzi di tempo e risorse quanto farne uno per Playstation2, mentre quelli di Ps3 e le maggiori produzioni per Xbox 360 costano più del triplo a causa dell’estrema raffinatezza e realismo della grafica necessaria.

Il problema che ipoteca il futuro di Nintendo allora è solo la sua “dominazione” del suo stesso mercato? Forse non solo quello. Realizzare giochi per Wii (e molti dei nuovi titoli “touch” orientati ad una audience più ampia di giocatori casuali) richiede uno sforzo innovativo nel pensiero degli sviluppatori. Basta alle mode e alle sicurezze dei titoli sulla falsariga di Halo o di Need for Speed. Serve fantasia, modi originali di sfruttare le caratteristiche degli innovativi controller a interfaccia naturale.

Serve, insomma, un salto di qualità  che non tutti riescono a darsi. E il gameplay scadente non può essere “nascosto” dietro a sorprendenti effetti speciali del gioco (l’atmosfera) perché la console non lo permette, in comparazione alla concorrenza. C’è chi sostiene, come il responsabile americano del marketing di Sega, che entro uno o due anni la spinta innovativa di Wii sarà  esaurita e sul mercato resteranno solo Playstation 3 e Xbox 360, con la loro muscolare potenza contata a miliardi di poligoni e texture raffinatissime. Forse. Perché magari per i giochi “casuali”, innovativi ma alle volte molto ripetitivi (come i titoli appartenenti a una delle serie di dischi di Nintendo per Wii, cioè Wii Play).

Oppure, vista anche la fresca nomina di un volto storico del mercato dei videogames statunitensi, cioè l’ex Atari Kathy Vrabeck, alla guida della neonata divisione “Casual Entertainment” di EA (il primo produttore al mondo di videogiochi) dimostra come anche i grandi abbiano capito che forse il futuro non è più tutto solo negli infiniti remake dei soliti titoli sotto vesti diverse ma che adesso si richiede anche un salto di qualità  per abbordare una console come Wii, una nuova leva di giocatori occasionali dalla demografia variegata e composita e anche un universo di nuove piattaforme come soprattutto sono i telefoni cellulari.

(Qui abbiamo pubblicato la prima parte della serie di articoli sul mondo delle console per videogiochi. La serie prosegue nelle prossime settimane)

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