Lunedì 13 gennaio Apple avrebbe rifiutato di ottemperare a una richiesta del Segretario alla Giustizia degli Stati Uniti, Bill Barr, di sbloccare gli iPhone dell’ attentato in Florida, terminali che erano proprietà del cadetto saudita Mohammed Alshamrani, l’uomo sospettato di avere sparato e ucciso tre marinai nella base militare di Pensacola il 6 dicembre scorso.
Apple respinge le accurse di non avere fornito aiuto concreto alle richieste del Procuratore Generale per le indagini e in una dichiarazione rilasciata al sito Input riferisce di avere dato seguito a tutte le richieste delle forze dell’ordine per contribuire all’estrazione di dati dai due iPhone appartenuti a Mohammed Saeed Alshamrani.
«Respingiamo la caratterizzazione secondo la quale Apple non ha fornito aiuto concreto nelle indagini sull’attentato a Pensacola» ha dichiarato un portavoce della multinazionale di Cupertino. «Le nostre risposte alle loro numerose richieste sin da quando l’attacco è avvenuto, sono state tempestive e approfondite». Apple promette ancora di fornire assistenza tecnica all’FBI con l’evolvere del caso.
Apple ha fornito le informazioni memorizzate su iCloud, ma il Dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti ha spiegato che l’indagine mira a recuperare i messaggi dai servizi di messaggistica Signal e WhatsApp utilizzati dall’attentatore, informazioni che consentirebbero di determinare se ha agito da solo o se ha ricevuto assistenza esterna.
L’attuale situazione sugli iPhone dell’ attentato in Florida ricorda il precedente della sparatoria di San Bernardino, nel 2016, Durante le indagini successive all’attentato in California, l’FBI aveva chiesto ad Apple di creare un accesso secondario (backdoor) per accedere all’iPhone 5c di Syed Rizwan Farook. Cupertino, con Tim Cook in testa, aveva risposto con un deciso no in nome della privacy e della sicurezza dei dati di milioni di utenti in tutto il mondo. Le ragioni del rifiuto erano contenute in una lunga lettera del Ceo Tim Cook, spiegando che funzionalità di questo tipo potevano portare “a minare le libertà dei cittadini”.
Secondo l’FBI l’impossibilità di accedere ai dispositivi elettronici dei criminali è un danno per l’intera società, un limite che ha rallentato indagini di tutti i tipi, dagli abusi sui minori, al narcotraffico, fino al terrorismo.
Tim Cook in altre occasioni ha spiegato che, benché le intenzioni di FBI e forze dell’ordine siano buone, «Sarebbe errato obbligarci a integrare porte di accesso riservate nei nostri prodotti». La backdoor, aveva detto Cook, è qualcosa che «Semplicemente non abbiamo, e che consideriamo troppo pericoloso creare». Perchè «Nelle mani sbagliate, questo software avrebbe il potenziale di sbloccare qualsiasi iPhone fisicamente in possesso di qualcuno. E mentre il governo può sostenere che il suo uso sarebbe limitato a questo caso, non c’è modo di garantire tale controllo».
Per accedere a dispositivi bloccati con il codice, molte forze dell’ordine stanno al momento sfruttando costosi accessori specializzati come GrayKey, un box da collegare alla porta Lightning degli iPhone che cerca di sbloccare i dispositivi con il metodo della forza bruta (provando tutti i codici possibili), oppure strumenti dell’israeliana Cellebrite, ma queste procedure allungano i tempi e non sono valide per tutti i dispositivi.