L’ FBI chiede ad Apple di sbloccare due iPhone che gli investigatori ritengono collegati a Mohammed Saeed Alshamrani, l’ufficiale della Royal Air Force che lo scorso mese ha ucciso tre marinai nella base di Pensacola in Florida, prima di essere a sua volta ucciso dalla polizia.
L’agenzia governativa di polizia federale degli Stati Uniti d’America ha inviato una lettera al responsabile legale di Apple, riferendo che – nonostante l’autorizzazione giudiziaria per individuare contenuti – l’accesso non è possibile perché i due telefoni sono entrambi protetti con password. I funzionari hanno provato a individuare la password, ma senza risultati.
Apple ha dovuto affrontare un problema simile nel 2016, quando un giudice federale ordinò alla multinazionale di Cupertino di collaborare allo sblocco del telefono di Syed Farook, attentatore della cosiddetta strage di San Bernardino, la sparatoria avvenuta nel 2015 in un centro sociale per disabili, nota agli utenti della Mela per il braccio di ferro tra Apple e FBI perché quest’ultima voleva sfruttare il caso per ottenere da Apple una backdoor per accedere all’iPhone dell’attentatore.
Dopo un lungo tira e molla, l’FBI riuscì a individuare un modo per accedere al telefono (servendosi di strumenti dell’israeliana Cellebrite) ma dallo sblocco del telefono non si ricavò nulla di rilevante. Ad aprile dello scorso anno si è saputo che Tim Cook era disposto a uno scontro in tribunale con l’FBI, come riportato nel libro di Leander Kahney dedicato al CEO di Apple. L’ente investigativo americano, pensando che all’interno del cellulare ci potessero essere prove di complicità all’interno e all’esterno degli USA, chiese ad Apple di accedere ai dati pretendendo che venisse aperta una back door.
Apple, per diretta e molto esplicita iniziativa di Cook, rifiutò decisamente in nome della privacy e della sicurezza degli utenti. Le ragioni del rifiuto erano state a suo tempo spiegate in una lunga lettera scritta di pugno dall’amministratore delegato di Cupertino.
«La decisione di opporci all’ordine non è qualcosa che prendiamo alla leggera. Riteniamo però di dover far sentire la nostra voce di fronte a ciò che vediamo come un eccesso da parte del governo americano. Crediamo che le intenzioni dell’FBI siano le migliori, però abbiamo paura che questa richiesta possa minare le libertà dei cittadini». La scelta di Apple non era piaciuta all’epoca neanche all’attuale presidente USA Donald Trump che al tempo aveva invitato gli americani a boicottare Apple in nome della sicurezza nazionale.
La presa di posizione di Apple in materia non sembra cambiata, almeno a giudicare dalla risposta delle società alla nuova richiesta dell’FBI «Abbiamo il massimo rispetto per le forze dell’ordine e abbiamo sempre collaborato per aiutare nelle loro indagini. Quando un mese fa l’FBI ci ha chiesto informazioni relative a questo caso, abbiamo fornito loro tutti i dati in nostro possesso e continueremo a supportarli con i dati disponibili».
In pratica Cupertino dichiara di essere disposta a collaborare, ma allo stesso tempo informa che tutte le informazioni e i dati in suo possesso sui due iPhone dell’attentatore di Pensacola sono già stati forniti tempo fa all’FBI, lasciando così l’ente investigativo nella impossibilità di ottenere l’accesso completo ai terminali.