Tempi duri per iTunes Store: il CEO di Universal, Doug Morris, dopo aver siglato la
Il servizio, rivela Business Week, dovrebbe chiamarsi Total Music e, in un certo senso, seguirebbe la logica utilizzata in passato da iPod: affidare alla musica il ruolo di servizio a valore aggiunto di un player (per Apple l’iPod, per Total Music lo Zune di Microsoft e la PSP di Sony e altri che potrebbero entrare nel patto) o i telefonini. Come nel caso di Apple la vera fonte di profitto giungerà dalla vendita dell’hardware con una differenza: l’iPod porta profitto solo alla Mela, con i player Total Music una parte del costo del lettore andrà anche alle case discografiche.
Come è presto detto.
A riscuotere quello che si può definire come un vero e proprio “canone di ascolto” saranno gli stessi produttori di hardware, quando venderanno uno dei loro lettori. In pratica acquistando il player Total Music si comprerà anche il servizio che avrà un costo di cinque dollari al mese; ovviamente il player costerà di più di uno senza servizio, ma nel ragionamento di Doug Morris il “premium price” sarebbe giustificato dal fatto che il cliente potrà scaricare tutta la musica che vuole. Facendo qualche conto, questo privilegio avrebbe un costo di 60 dollari all’anno, o 90 dollari per la vita media stimata di un player (18 mesi) prima che questo venga rinnovato e quindi il cliente ne acquisti un altro.
Il piano di Universal va anche oltre: tutte le canzoni di Total Music saranno DRM-Free, aspetto che consentirà pure di essere riprodotte su iPod, a differenza di molti brani scaricabili da iTunes Store. Scelta che da una parte vorrebbe scoraggiare la pirateria e dall’altra spostare il baricentro del downloading musicale dallo store musicale di Apple al nuovo servizio delle case discografiche.
Per portare a termine la strategia Universal avrebbe già coinvolto Sony Bmg; Warner, pur interpellata, sarebbe invece ancora alla finestra. Se l’alleanza andasse in porto le tre case discografiche disporrebbero di circa il 75% el catalogo musicale mondiale.
Ai tempi del lancio dello store musicale online di Apple, Universal fu uno dei maggiori alleati di Cupertino, alleanza che si cementò via via con il passare degli anni e che portò benefici sia per la società di Jobs che per quella di Morris. Negli ultimi tempi, invece, Universal ha cominciato a manifestare inquietudine per le pretese recepite come sfavorevoli per le strategie della casa discografica di Apple sia sulle percentuali sui brani venduti che per le limitazioni sui prezzi. Resosi conto di avere forse concesso troppi privilegi a Jobs, Morris ha deciso quindi di rompere l’alleanza e di mettersi “in proprio”, anche se per ora non ha ancora ritirato la musica di Universal da iTunes ma si è limitato a stipulare contratti mensili invece che a lungo termine e a mantenersi le mani libere, stipulando un accordo non esclusivo con Apple.
D’altra parte Universal sa bene che da Apple passa il 70% della musica digitale; Morris ha ancora bisogno della Mela e, nonostante stia già sperimentando soluzioni con altri servizi di vendita musicale online come Wal-Mart e un progetto come Total Music rappresenti un attacco frontale ad iTunes, ben difficilmente questo significherà automaticamente l’abbandono del negozio di Cupertino. Universal, in uno scenario come quello attuale in cui il calo del fatturato è molto sensibile, non può semplicemente permettersi di lasciare andare per la sua strada Apple con i suoi volumi altissimi e il suo iPod.