Cinque anni addietro il CEO di Apple, Tim Cook, aveva per la prima volta ammesso la propria tendenza omosessuale, asserendo di averlo dichiarato direttamente ed esplicitamente come segno dello sforzo di Apple contro le discriminazioni.
A cinque anni dal suo coming out, Cook dice di non essere rammaricato per la decisione di allora. “Non ho mai avuto un minimo rimpianto”, riferisce il CEO di Apple rivelando di avere prima di allora ricevuto lettere da ragazzi alle prese con il loro orientamento sessuale, di avere deciso che era ora di fare qualcosa, anche se c’è voluto un anno per trovare le parole giuste e scegliere il momento migliore per fare l’annuncio.
“Ovviamente non potevo parlare singolarmente con quanti si erano messi in contatto con me, ma sai anche che se alcune persone ti cercano, molte altre non lo fanno, e sono là fuori a chiedersi se hanno un futuro o no, chiedendosi se la loro vita migliorerà… A quel punto ho davvero deciso. Ci sono state un sacco di persone prima di me che hanno reso possibile discutere qui oggi, e sentivo la necessità di fare qualcosa per aiutare queste persone di una generazione più giovane”.
Cook spiega ancora di non avere avuto alcuna paura prima dell’annuncio, ma era preoccupato del mondo all’infuori di Apple, anche conoscendo l’unanime supporto del Consiglio di Amministrazione di Apple. “Voglio dire, guardate ancora quanti stati esistono nei quali puoi essere licenziato perché sei gay o trans”.
Apple è da sempre molto aperta sui temi della diversità, elemento che ha permesso a Cook di sentirsi rassicurato nel fare l’annuncio. A suo dire, essere gay, gli ha donato un “livello di empatia molto superiore alla media”. “Non dico che comprendo sofferenze e tribolazioni di ogni minoranza, perché non è così. ma capisco uno di questi gruppi, nella misura in cui di avere una chiara percezione su come le persone si sentono. Ritengo sia un dono in sé e per sé”.
Il CEO di Apple ha parlato anche della recente decisione di presentare una memoria scritta (“amicus brief”) per difendere i cosiddetti “Dreamers”, gli immigrati irregolari entrati quando erano bambini negli USA, molti dei quali lavorano anche per Apple. “Sappiamo che i migliori prodotti sono creati dai team con le persone più svariate, perché sono indirizzati a tutti”. “Quando parlo con persone che si trovano negli Stati Uniti per il DACA (Deferred Action for Childhood Arrival, ndr), quello che vedo è il livello di coraggio, determinazione, entusiasmo di essere in America, per raggiungere un risultato, ottenere qualcosa e per andare forse anche oltre quello che i loro genitori volevano.
Vedo enorme dedizione e una etica professionale molto scrupolosa che ho sempre ammirato”. “Sono le stesse modalità con le quali sono stato educato; questo è quello che vedo e penso che sia ridicolo permettere in quanto società mettere in dubbio la loro idoneità”.