Secondo il Wall Street Journal, la cinese Huawei avrebbe aiutato i governi di Uganda e Zambia a spiare e intercettare gli oppositori politici. L’azienda cinese domina sui mercati africani dove ha venduto vari strumenti di “sicurezza” stumenti ai governi usati per la sorveglianza digitale e la censura, aiutando a ottenere o mantenere la presa sul potere.
Il quotidiano non riferisce accuse circostanziate ma da sue indagini emergerebbero conferme di dipendenti di Huawei che hanno avuto un ruolo diretto.
I cinesi ovviamente respingono le accuse in una nota, affermando di non avere mai partecipato ad attività di ‘hacking’. “La nostra indagine interna mostra chiaramente che Huawei e i suoi impiegati non hanno mai partecipato a nessuna delle attività di cui sono accusati” Non abbiamo né i contratti, né le capacità per farlo”.
E ancora, riferiscono i cinesi: “Il codice di comportamento di Huawei proibisce agli impiegati di partecipare a qualsiasi attività che comprometta i dati dei nostri consumatori e la privacy, o che violi qualsiasi legge. Huawei è orgogliosa di rispettare le leggi in tutti i mercati dove opera”.
Il governo ugandese ha confermato che dipendenti di Huawei hanno lavorato con le agenzie d’intelligence e forze dell’ordine locali “per rafforzare la sicurezza nazionale”, ma non hanno rilasciato commenti in merito alle le accuse di spionaggio. Il portavoce del primo partito in Zambia ha confermato che i tecnici del colosso cinese hanno aiutato il governo a combattere le “fake news” diffuse dai siti di opposizione
Il WSJ riferisce di sue fonti interne che avrebbero confermato che dipendenti di Huawei hanno aiutato l’unità di sorveglianza informatica governativa a entrare nel gruppo WhatsApp di Bobi Wine, un oppositore politico dell’attuale presidente Museveni.
I dipendenti Huawei avrebbero utilizzato un non meglio precisato spyware prodotto da una società israeliana per penetrare la chat. Wine e dozzine di suoi sostenitori – riferisce il sito Formiche.net sono stati arrestati. In Zambia invece i tecnici Huawei hanno aiutato il governo ad accedere ai telefoni e alle pagine di Facebook appartenenti ai blogger che si oppongono al regime del presidente Edgar Lungu. Questo ha permesso all’unità di cyber-sorveglianza zambiani di individuare le posizioni dei blogger e farli arrestare.
L’accusa è l’ennesimo colpo di scena nel confronto ingaggiato dagli USA contro l’azienda cinese accusata (fin dal 2012) di lasciare “backdoor” (porte di servizio) nei propri sistemi di telecomunicazioni riservate allo spionaggio del governo cinese.