In certe ricerche sociologiche che giravano durante i primi anni duemila, quando si cercava di interpretare l’impatto che l’iPod stava avendo sui mercati – ancora avremmo dovuto conoscere l’iPhone e la musica in streaming – si parlava degli usi del Walkman, il primo grande strumento di diffusione di massa della musica.
Si mettono le cuffie – le ricordate? ad archetto con la spugnetta sugli auricolari che poggiavano sulle orecchie lasciando passare i suoni della strada – e in un attimo ci si isolava parzialmente ma a sufficienza. Il mix-tape di turno girava nel lettore – i più costosi erano piatti e avevano il mitico auto-reverse – e all’improvviso eravamo noi a scegliere con la nostra musica l’atmosfera dei posti dove stavamo passando.
Tristezza in località marina, divertimento in tenebrose foreste al tramonto, viaggi romantici attraverso la burrasca, si poteva procedere per coppie di opposti o magari giocare la carta delle grandi intuizioni, raddoppiando una emozione e trasformandola in un viaggio lisergico colorato dalla musica. Lo squallore di una domenica pomeriggio da soli in città diventava all’improvviso un panorama estetico nel quale vibrare di nuove emozioni.
Fu quarant’anni fa, il primo di luglio del 1979, che Sony commercializzò per la prima volta il suo Walkman. L’azienda giapponese nata con le gavette elettrificate per scaldare il riso vendute ai soldati durante la Seconda guerra mondiale aveva fatto uno dei passaggi più importanti della sua storia e aperto la strada a una nuova cultura sociale, dopo l’introduzione delle radioline a transistor subito dopo la guerra.
Le musicassette non erano uno standard assoluto – in auto si usava un altro formato, ad esempio, e nei dittafoni un altro ancora più piccolo – ma erano molto diffuse. Era stata la società olandese Philips a brevettarle nel 1963, e avevano conquistato un sacco di spazio nel mercato. Erano però vincolate a riproduttori piuttosto ingombranti e complicati, mentre i primi riproduttori portatili erano poco diffusi (e i registratori invece erano grandi come una scatola da scarpe). Soprattutto, l’audio non era ancora stereo e la durata dei nastri piuttosto breve, con qualità non eccellente. Facevano concorrenza le microcassette usate nelle segreterie del telefono, che avevano nastri magnetici molto piccoli (erano economiche e tascabili) ma di pessima qualità.
Ed ecco che arriva Sony con la sua prima generazione di apparecchi interessanti: i “pressman”, registratori compatti poco più grandi di un futuro walkman pensati per i giornalisti che avevano bisogno di registrare la voce dei protagonisti della cronaca. Li avrete visti perché ce ne sono stati a centinaia per anni e anni, inquadrati dalle telecamere dei TG quando un politico o un personaggio della cronaca viene circondato dalla stampa: fino a dieci anni fa erano lo strumento preferito ad esempio dei giornalisti delle radio locali.
Ma è nel 1978 che Sony inizia a fare sul serio e presenta il TC-D5: alimentato solo a batterie, emette un suono decisamente buono, ma costa un patrimonio tipo più di duemila dollari di oggi. È un tentativo per mettere in bolla la tecnologia, e Masaru Ubuka, all’epoca sul ponte di comando di Sony, l’azienda che aveva fondato, insiste per entrare in produzione. Creandone un modello più piccolo e comodo per quando si viaggia.
E l’altro fondatore di Sony, Akio Morita, insiste che il riproduttore fosse anche molto economico per poter essere diffuso non su un mercato elitario di lusso, ma per le folle che nell’estate del 1979 sarebbero andate in vacanza lasciando a casa i lettori di vinile. Detto fatto, dal TC-D5 si passa al TPS-L2, compatto, 4 etti di peso, solido e di qualità leggermente inferiore per l’audio ma con alimentazione più gestibile (due pile AA) e formato che sta nella tasca di dietro dei jeans o – per meglio dire – in quella interna del giubbotto sfoderato sempre di jeans.
Il Walkman è una cosa pazzesca, che si capisce subito avrebbe cambiato la musica. Non registrava, riproduceva e basta, e nasce con un modello blu metallizzato che strizzava l’occhio alla generazione dei giovani di allora, tutti religiosamente in blue jeans, il “prodotto” culturale di maggior successo inventato negli USA. E il Walkman diventa una prova vivente che il consumo della musica era un bisogno crescente delle generazioni abituate a riunirsi attorno alle radioline a transistor per cercare di ascoltare un po’ di musica assieme, oppure a mettere un disco (magari un 45 giri, più piccolo di formato) dentro un apparecchio portabile da pic-nic.
Awesome Sony Walkman commercial (1983)
pic.twitter.com/ScCYt1e3a1— Tech Burrito (@TechBurritoUno) July 19, 2023
Perché la grande novità del Walkman fu la trasformazione del consumo della musica, che diventa una cosa per introversi e avviene sempre più in una dimensione isolata, da monadi senza né porte né finestre. Si possono anche agganciare due cuffie con quel jack standard da 3.5 pollici, chiamato “mini-jack”, che proprio in quel periodo acquista la capacità sonora stereo con il secondo anellino nero che separa i due canali nella punta di metallo.
E le cuffie, che sono economiche quanto bastano per non impattare troppo sul costo dell’apparecchio (all’inizio in Giappone quelli di Sony cercavano più fedeltà a scapito dell’accessibilità del prezzo), trasformano la “persona che cammina” (walkman) in un vero fenomeno. Costava quelli che oggi sono 4-500 euro (cioè 250mila lire dell’epoca, al cambio del 1998 sarebbero stati 130 euro) e venne pubblicizzato con una campagna di marketing virale ed esperienziale enorme, che uscì dal Giappone per arrivare negli USA e poi in un secondo momento anche in Europa, partendo con la Gran Bretagna e i Paesi del Nord Europa.
A dare il via al passaparola tra i giovani, oltre ai primi viaggiatori – all’epoca molti meno – che soprattutto per lavoro andavano in Giappone e poi dall’Europa negli USA e tornavano con un costoso regalo per i figli, ci pensarono i film. Dal “tempo delle mele” (ricordate quando Vic-Sophie Marceau ascolta “Reality” di Richard Sanderson dalle cuffie del Walkman che Mathieu le ha messo sulla testa per farle ballare un lento mentre gli altri ragazzi sono persi nella dance?) a “Ritorno al futuro”, il Walkman è lo strumento di una generazione che costruisce la sua indipendenza staccandosi da tutto e da tutti: gli adulti, i problemi, anche la legge e la società. Basta una cassetta con la nostra musica e ricomincia un regno magico di sentimenti ed emozioni adolescenziali solo nostre.
Con il Walkman comincia anche l’era della ginnastica all’aperto: il jogging. E poi comincia una lunga carriera che passerà dalle musicassette ai CD, ai MiniDisc e agli MP3 e infine agli streaming, dove però il primato passa ad altri: Apple in testa, ma non solo. Fu colpa di uno sbaglio di strategia, perché Sony si concentrò sui supporti fisici (che produceva) e un codec proprietario (Atrac) che non funzionava bene all’inizio. E fu anche colpa del bisogno di cambiare. Il Walkman è durato però molto: fino al 23 ottobre del 2010, quando è stato prodotto l’ultimo esemplare a cassette per i mercati emergenti e per i cultori giapponesi, che non hanno mai voluto abbandonare la loro adolescenza.
Ah, poi ci sarebbe anche il revival, a partire da Stranger Things sul piccolo schermo e I Guardiani della Galassia sul grande schermo, dove il Walkman è addirittura un co-protagonista. O per meglio dire: fa il suo lavoro di sempre: creare un’atmosfera con la magia delle colonne sonore uguali per tutti ma che arrivano nelle cuffiette, e che sembrano solo per noi, per le nostre orecchie.