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Nuovi iPad, dov’è finito il “Less is more”?

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Le transizioni si fanno dicendo no e con le forbici in mano. A un certo punto, bisogna dare un taglio secco. O di qua, o di là. Una cosa di cui Cupertino era maestra con le sue linee di prodotto smilze, il suo mantra “Less is more”. Con il lancio dei nuovi iPad Cupertino pare invece tenere i piedi in due staffe: da una parte il “vecchio” mondo della presa Lightning, con apparecchi aggiornati, potenza, compatibilità con accessori interessanti – come le nuove tastiere – e con la “vecchia” Apple Pencil 1.

Dall’altra, il nuovo mondo coraggioso degli iPad Pro con USB-C, nuova Apple Pencil 2 magnetica, accessori e dotazioni differenti. In più abbiamo una linea “Pro”, con due dimensioni, una linea semi-Pro (l’Air), un iPad low cost e un iPad mini che si colloca in una posizione indefinita…

Le varie generazioni puntano a pubblici diversi per fare cose diverse, ma le sovrapposizione ci saranno e saranno tremende. Torna, appunto, l’iPad mini, che adesso diventa compatibile anche con la penna di prima generazione, e i prezzi non si abbassano sensibilmente (costa meno il “vecchio vecchio” iPad 9.7 dell’anno scorso, a parità di memoria) però non eccelle neanche perché si ferma a 256 GB, come il nuovo iPad Air 10.5, di contro al terabyte grande e grosso dell’iPad Pro di punta, sia esso da 12,9 che da 11 pollici.

Apple, la linea iPad non è mai stata così lunga. Ma non è un bene

Ma cinque differenti versioni dello stesso prodotto, con accessori non compatibili tra loro, tecnologie divergenti, schermi che sostanzialmente si sovrappongono: tutto questo che senso ha? Come si deve orientare il cliente? Sulla base del prezzo? Sulla base del suffisso? Air, Pro, mini, niente?

La preoccupazione principale è che Apple non chiuda la transizione in tempi brevi, ammesso che a questo punto di transizione si tratti. Perché la realtà è anche un’altra: magari Apple non ha nessuna intenzione di portare la USB-C sulla parte bassa della gamma dei suoi tablet. Economie di scala insufficienti, rischio di far fuori un ecosistema di apparecchi compatibili e certificati (a pagamento per i produttori, e quindi fruttiferi di fatturato per Apple).

Insomma, dal punto di vista del contabile, meglio così. E i conti sulla carta saranno anche giusti, probabilmente. Il problema vero però è che si comincia a perdere la simmetria, lo schema, l’eleganza di un catalogo pensato per distinguersi anche sulla base della semplicità.

Apple, la linea iPad non è mai stata così lunga. Ma non è un bene

Ma a parte la transizione tecnologica, la vera domanda rimane quella della strategia di fondo. La Apple che ha costruito i grandi successi a cavallo del nuovo millennio, negli ultimi venti anni, ha basato il suo ciclo sulla forza della comunicazione del brand e dei prodotti, oltre che sull’eccellenza tecnologica e sul design.

E questa comunicazione è stata una ricerca effettivamente collegata in maniera indistinguibile a tutto il resto: i prodotti di Apple erano anche chiaramente distinguibili e appetibili. Non solo all’interno di una stessa generazione, ma anche tra una generazione e l’altra. Tanto che, chi si voleva muovere sul flusso dei ricondizionati o dell’usato anche esterno ai negozi di Apple, c’era poco da indugiare o da farsi prendere in contropiede. In realtà la comunicazione e l’allineamento tecnologico dei prodotti erano talmente chiari che non si correva il rischio di trovarsi con un caso di incompatibilità nascosta.

Invece, adesso, c’è chi compra un iPad e poi magari si fa regalare una Apple Pencil o un secondo caricabatterie solo per scoprire che la tecnologia è quella sbagliata. O che magari non serve più un vecchio adattore (caso comune quando c’è una migrazione) per sopravvenuta incompatibilità, oppure che un nuovo adattatore – magari condiviso anche con il MacBook Pro – non funziona con il nuovo iPad perché usa una vecchia tecnologia di connessione.

Da tempo c’è chi si è chiesto che senso abbia avuto portare la USB-C (oltretutto non Thunderbolt 3, per limiti di wattaggio e di portata) sugli iPad. Dopottutto, le esigenze di potenza nella connessione sono limitate e il caos che gira attorno allo standard non completamente protetto della USB-C/Thunderbolt 3 è un girone d’inferno dantesco rispetto alla piacevole armonia e alla lenta bellezza delle prese Lightning, studiate e curate da Apple stessa.

Apple, la linea iPad non è mai stata così lunga. Ma non è un bene

Se non è la velocità il vero bisogno, ma casomai la capacità e la flessibilità della USB-C (nonostante tutti i problemi generati dalle solite cinesate in commercio a quattro lire, come i caricabatterie non certificati che poi prendono fuoco), rimane aperto un altro tema: quello della transizione. Forse che i nuovi iPad Pro sono stati un esperimento andato male e che non deve essere seguito né dagli iPad normali che dagli iPhone? Se fosse così potremmo addirittura ipotizzare un ritorno indietro, una rinascita del Lightning anche in ambiente professionale. Chissà.

Magari a Cupertino c’è qualcuno che se lo chiede. Magari qualcuno convinto che gli iPad con la presa USB-C forse non hanno tutto quel senso che pensiamo noi, e che invece la velocità della buona vecchia presa Lightning basta e avanza. Con tutti i suoi problemi di sporco accumulato nel connettore o di rottura del jack e della parte finale del cavetto.

Domande tecniche a cui in questo momento non sappiamo rispondere. Il fatto è che alla fine di tutto il discorso, la gamma di iPad si è allungata e diluita e trovare un filo logico nella scelta di acquisto richiede ragionamenti non sempre del tutto intuitivi. Può darsi che dietro ci siano logiche che non sono palesi e quindi è difficile giudicare, ma una cosa certamente si può dire: il motto di Apple, less is more deve essere cambiato, almeno per iPad, in: “more is better than less”…

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