In seguito allo scandalo Cambridge Analytica, azienda che ha violato i dati di oltre 50 milioni di account Facebook, gli amministratori delegati di Apple e IBM chiedono maggiore controllo sulle modalità usate per memorizzare i dati degli utenti. Intervenuto nel corso del China Development Forum di Pechino, il CEO di Apple Tim Cook – scrive Reuters – ha parlato della necessità di pensare a disposizioni in materia “ben regolamentate”; anche la CEO di IBM, Ginni M. Rometty, è intervenuta, concordando con Cook, spiegando che gli utenti avrebbero bisogno di più autonomia per capire che cosa viene fatto esattamente con i loro dati.
“Mi sembra chiaro che qualche mutamento profondo sia necessario” ha spiegato Cook. E ancora: “Non sono mai stato un grande fan delle regolamentazioni perché a volte queste portano conseguenze inaspettate, ma penso che questa determinata situazione sia così disastrosa, diventata talmente grande da ritenere qualche normativa ben elaborata in merito, necessaria”.
Facebook, lo ricordiamo, è da giorni sotto forti pressioni da parte dei media e della politica per quanto accaduto. Cambridge Analytica, sfruttando app che – in teoria – proponevano quiz è riuscita a recuperare dati su utenti e amici degli utenti, sfruttati a vario titolo – durante la campagna elettorale di Trump ma anche per condizionare il referendum su Brexit nel Regno Unito.
“Se si ha intenzione di usare queste tecnologie, bisognerebbe comunicare alle persone cosa fanno con i loro dati e queste non dovrebbero essere soprese” ha dichiarato Rometty. Dobbiamo fare in modo che alle persone siano presentate clausole opt-in e opt-out, ha spiegato ancora la CEO di IBM, fare in modo che capiscano esattamente chi sono i proprietari dei dati e cosa fanno con questi.
Di tutto ciò si è parlato in Cina in seguito ad eventi che riguardano strettamente la privacy, con passi falsi di aziende come Baidu e Ant Financial del gruppo Alibaba. “La Cina è sempre più sensibile su questo problema e sta facendo rispettare concretamente e fortemente le pertinenti disposizioni legislative” ha dichiarato Robin Li, cofondatore del motore di ricerca più popolare in Cina, Baidu.
“Penso che le persone in Cina siano più aperte o meno sensibili alle questioni di privacy. Se devono offrire la loro privacy in cambio di comodità, sicurezza o efficienza, sono disposte a farlo”. Nel Paese del dragone è normale per le aziende IT monitorare in maniera intensiva gli utenti. Se da una parte questo significa offrire servizi personalizzati, c’è chi teme che in realtà questo consenta al governo di ottenere dati sensibili su larga scala, sensazione acuita dai sempre maggiori investimenti di Pechino su tecnologie che consentono il completo controllo delle masse.
La legislazione entrata in vigore in Cina nel 2017 richiede ai servizi di cloud di essere gestiti da aziende cinesi, il che significa che compagnie come Apple devono scegliere se abbandonare il mercato cinese o accettare imprese miste con partner cinesi. Le leggi cinesi danno al governo un accesso pressoché illimitato ai dati archiviati in Cina senza adeguate garanzie per la protezione della privacy, della libertà d’espressione e di altri diritti umani fondamentali.