Dopo l’acquisto di Shazam, una delle rare mosse di Apple in un mercato di aziende conosciute anche dal grande pubblico (di solito le acquisizioni di Cupertino sono molto più sottotraccia) le indicazioni per il 2018 di Apple sono se possibili ancora più complesse e interessanti da trovare.
Quest’anno ancora non ci sono stati eventi e presentazioni: ma non manca moltissimo alle novità che verranno presentate: ci possiamo aspettare nuovi apparecchi hardware e la nuova versione del sistema operativo – tra poco ci arriviamo – ma oltre a cosa bolle in pentola è interessante anche capire la direzione nella quale sta andando Apple.
La prima nota ha a che fare con i crescenti investimenti nella produzione di contenuti multimediali. Televisione. Film. Alla Netflix, o per meglio dire, alla Amazon Video. Apple ci lavora, forse in ritardo – abbiamo passato anni a seguire le tracce del mercato delle auto che si guidano da sole, che poi Tim Cook ha fortemente ridimensionato – ma sta facendo molto almeno sul piano delle acquisizioni. Attenzione qui perché la cultura di Apple è particolare, le acquisizioni non sempre vanno a buon fine, e l’allargamento delle aree di business dell’azienda possono essere problematiche: la cultura di Apple è molto focalizzata sulla tecnologia e su un vertiche stretto, con riporti diretti al grande boss. C’è spazio per altre attività?
Apple ha direttamente un piede piccolo nel mondo dei contenuti: è la Apple TV, che è un ottimo prodotto, va bene, ma non travolge. Non ha mai travolto. Quando decollerà? Altrimenti i prodotti di Apple dovrebbero appoggiarsi a un altro distributore (Netflix?) via iTunes, oppure andare sui televisori con app ad hoc sviluppate per altre piattaforme. Insomma, se Apple pensa di fare contenuti, come pensa di distribuirli? La sua base di installato di Apple Tv è probabilmente insufficiente e, se la strategia è sempre quella di creare software/contenuti per vendere hardware, rischia di essere perdente. Non è stato così per la musica, ad esempio, perché si ascolta con gli iPhone e con gli altri apparecchi: la distribuzione integrata verticalmente funziona perfettamente.
Parlando di musica: Apple ha un grande vincitore e un candidato che ancora deve muovere i suoi primi passi ma già ci sono molte perplessità. Quest’ultimo è l’HomePod, che cerca di ritagliarsi uno spazio: lo vedremo presto anche in Italia e magari sarà Shazam a giocare assieme a Siri (anzi: dentro Siri) una partita per la scoperta e la gestione della musica. Invece gli AirPods vanno alla grande e sono forse uno dei migliori prodotti Apple da anni, sicuramente uno dei migliori di Tim Cook. C’è da chiedersi come svilupparli: AirPower e un ripensamento della modalità di connessione di tutte queste periferiche per la ricarica è forse una chiave. Ci sarà da lavorarci. La direzione è chiara e un secondo tipo di cuffie che coprono i padiglioni auricolari e sono in parallelo e non in competizione con i prodotti Beats ci sta (e sarebbero molto interessanti, soprattutto con la cancellazione del rumore, per chi viaggia, pendolari, e così via).
Veniamo al tema caldo cui si accennava poco sopra: gli apparecchi. Partiamo dal sistema operativo, però. Apple è arrivata a un punto di svolta. Ha “stirato” sempre di più sia iOS che macOS. Con il progetto Marzipan, che dovrebbe essere annunciato alla WWDC questa estate, l’azienda dovrebbe trovare il modo di far circolare il codice delle app tra i due mondi. Potrebbe essere la strada dell’integrazione che molti immaginano, con magari il passaggio dalla piattaforma Intel a quella Arm per i Mac portatili e forse anche fissi. Una transizione non impossibile, ma che non vedremo nel 2018.
Se la storia dovesse ripetersi, da questo punto di vista, ricordiamo cosa successe con il passaggio da PowerPc G3/G4/G5 a Intel: Steve Jobs spiegò sul palco della WWDC le ragioni del passaggio, che Darwin (il cuore open di macOS) era già pronto e che c’era anche una versione ricompilata per il nuovo mondo, i livelli di emulazione per far funzionare le vecchie app, e che gli hardware sarebbero arrivati negli anni successivi. E poi, coniglio dal cilindro, ha spiegato che tutto il keynote era stato fatto su una macchina Intel.
Tim Cook, o meglio Schiller o Federighi, potrebbero fare così e tirare fuori il primo Mac ARM e via. Il passaggio richiederebbe un paio di anni per diventare operativo e altri due per essere definitivo. E permetterebbe magari di aggiungere funzionalità simili a iOS a macOS con meno difficoltà. Ma il punto di fondo, cioè l’interfaccia d’uso di macOS, non dovrebbe venire messa in discussione. L’integrazione sarebbe tra parti di base dei sistemi operativi per consentire lo sviluppo semplificato delle app – con interfacce diverse – tra i due ambienti, che poi sono tre visto che una app iOS per iPhone e una per iPad sono solo apparentemente la stessa cosa: sono in realtà due app fuse assieme, con due interfacce e asset grafici diversi.
Una cosa che deve essere fatta però è anche una profonda riscrittura dei sistemi operativi, soprattutto macOS, per una maggiore ottimizzazione. L’ex capo di Windows e Office di Microsoft, Sinofksy, ha spiegato che Apple ha creato un ciclo di quasi venti anni con Mac OS X pazzesco che adesso deve arrivare a una nuova sintesi. Bisogna ottimizzare. Il modello di sviluppo, ha detto Craig Federighi, cambia e va verso quello di rilasci minori continui (stile Windows) e non più verso major update ogni anno con una nuova versione. Ha senso. Avrebbe ancora più senso se, anziché continuare a farcire il panino aggiungendo sempre nuove funzionalità, si lavorasse per ottimizzare il codice, potenziare il motore, rendere tutto più stabile, più leggero e più funzionale.
I prodotti Apple vivono per più di quattro anni ma la quarta versione del sistema operativo di Mac o iPhone/iPad dopo l’acquisto del prodotto è di solito una mazzata per il processore e la memoria originarie: bisognerebbe immaginare un mondo dove questo non succede. E dove un Mac come il MacBook 12 pollici del 2017 con 16 GB di Ram sul quale il vostro cronista sta scrivendo (macOS High Sierra) si risvegliasse dalla pausa in meno di venti secondi, come era una volta e come molto spesso oggi non è più. Risvegliare un portatile sembra risvegliare qualcuno che ha mangiato troppo da un brutto sogno, serve invece tornare alla leggerezza della gioventù. Si può fare.
Veniamo all’hardware: è facile immaginare che Apple porti avanti le sue novità tecnologiche, che sono la chiave dello sviluppo dei prodotti. Face ID e schermi con cornici ridotte al minimo: sarà questa probabilmente la chiave di sviluppo del design degli iPad, che potrebbero essere ulteriormente razionalizzati come dimensioni. E poi allargamento della linea degli iPhone, che dovrebbero diventare quasi tutti X (c’è il margine anche per un iPhone 9, secondo chi scrive, con costi e funzionalità simili a quelle dei precedenti 6-7-8).
Comunque, è chiaro che il lunotto (“notch”) degli iPhone X dovrebbe diventare una vista comune sui prodotti Apple. E che l’evoluzione degli iPad come degli iPhone va in quella direzione. Schermi più grandi in tasca, con la sensazione che ci possa essere una nuova spinta per chi ha Mac e iPhone a fare a meno degli iPad (mentre sembra ancora improbabile che ci sia chi ha solo un iPad e non un Mac-PC e vive una vita digitale ricca e completa).
Gli iPhone X, è bene non dimenticarlo, portano con sé un potenziale di sovrapposizione con molti usi degli iPad grazie allo schermo leggermente più grande degli 8 Plus che cresceranno ancora si dice nei modelli X Plus (quasi 1,8 cm in diagonale, cioè tanti centimetri quadrati). Insomma, se l’iPad diventa piccolo, si chiama iPhone e sta in tasca, perché comprarne un altro?
La filosofia di Apple in questo senso si avvia sempre di più a un periodo di transizione: la rivoluzione permamente che caratterizza il mondo dei produttori di tecnologia e che non era propria di Apple (che invece aveva una filosofia piuttosto di “migrazione permanente”) diventa anche parte di una nuova fase di sviluppo dei prodotti e dei servizi.
Apple è consapevole inoltre che due terzi del suo business dipendendono dall’iPhone e che sbagliare il lancio del prodotto vuol dire tirare drammaticamente il freno ai conti dell’azienda. Apple continua a crescere ma ha bisogno ancora di trovare una sua velocità per quanto riguarda l’innovazione: la filosofia di Tim Cook è basata sullo sviluppo delle parti industriali del business e quella di Maestri è evidentemente centrata sulla parte finanziaria. Apple però è sempre stata una società apertamente guidata dall’innovazione tecnologica: non sembra che il 2018 tornerà ad essere un anno guidato da questo vettore.
In tutto questo, infine, si tende a dimenticare i negozi, la catena impressionante di store che Apple costruisce in tutto il mondo e che sono il segno più visibile della potenza di fuoco e al tempo stesso dell’intelligenza dell’azienda. Si dimenticano perché sono una delle due cose che vanno molto bene e si danno quasi per scontate. La trasformazione dei negozi in centri ancora più orientati a fare esperienza dei prodotti e servizi Apple continua. Mentre si apre il nuovo fronte del mercato enterprise, o B2B, di Apple, che Tim Cook ha fortemente voluto: a differenza di Steve Jobs infatti Cook parla benissimo la lingua delle grandi corporation ed è più che felice di vendere i suoi prodotti alla Corporate America e al resto del mondo del business planetario tramite un canale fatto di integratori e big come Ibm, Accenture, SAP e via dicendo. I risultati anche da qui stanno arrivando, nonostante non se ne stia accorgendo quasi nessuno.