La Net Neutrality è un concetto antico quanto internet e spesso sventolato sotto il naso dei cittadini fuori luogo. La rete delle reti è nata negli anni Sessanta per reagire alla supremazia sovietica nella corsa allo spazio (segnata dallo Sputnik, dal volo della cagnetta Laika e poi da quello di Yuri Gagarin). Il governo americano mise gli investimenti di ricerca di base in un unico soggetto che, per meglio coordinare le risorse di calcolo presenti nelle università e nei centri di ricerca del paese, decise di costruire una infrastruttura che collegasse le diverse reti. Non fu tanto l’idea di resistere a un attacco nucleare quella che fece nascere Internet, quanto quella di resistere a una rete di interconnessione basata su sistemi antiquati, di fortuna, spesso non funzionanti.
Una delle idee di base per la creazione di Internet fu di mettere l’intelligenza ai bordi, cioè nei server che costituivano il punto di partenza o di arrivo delle interconnessioni, e non nelle “tubature”, cioè nei sistemi di rete in quanto tale. Una conseguenza di questa idea fu che tutte le informazioni, divise in pacchetti, dovevano poter transitare liberamente. Nessuna attività di filtraggio o di differenziazione del traffico: era un requisito fondamentale per consentire la circolazione dei bit anche su circuiti costantemente ristrutturati e reindirizzati.
L’idea della Net Neutrality nacque dunque così, ed è il principio in base al quale i fornitori di servizi devono trattare tutti i dati su Internet allo stesso modo e non possono discriminare o addebitare in modo diverso a seconda dell’utente, del contenuto (sito Web, piattaforma, applicazione), tipo di apparecchiatura collegata o metodo di comunicazione. Questo vuol dire, ad esempio, che i provider di servizi Internet in base a questi principi non possono bloccare, rallentare o addebitare intenzionalmente un costo alle connessioni per siti Web specifici e contenuti online particolari.
Con la fine della Net Neutrality negli Stati Uniti, grazie alla decisione presa dalla FCC, accadrà esattamente questo: potranno bannare o rallentare la connessione a determinati siti web, impedire il funzionamento di determinate applicazioni, modificare artificialmente la velocità di connessione degli utenti sia per numero di siti che per tipologia di servizi accessi. E chi vorrà poter fare di più, ad esempio collegarsi a certe tipologie di sito oppure accedere a certi servizi, dovrà pagare di più.
Il termine “Net Neutrality” è stato coniato nel 2003 dal professore di diritto dei media della Columbia University Tim Wu, il quale l’aveva preso per estensione dalle normative che hanno a che fare con il traffico telefonico internazionale. Viene ritenuta una idea chiave per consentire l’innovazione da parte delle startup e di chi crea nuovi servizi per la rete da un lato, e dall’altro viene considerato un diritto per i cittadini di poter accedere a tutti i tipi di servizi e di funzionalità della rete, con una connessione più o meno veloce ma non penalizzata o frammentata con tipologie di costi differenti a seconda di quel che si vuole fare.
La conseguenza più probabile è che negli USA si vada verso un modello pay-per-play, in cui per accedere a determinati tipi di contenuti sia necessario pagare. Questo però non verrà necessariamente fatto dagli utenti finali: i grandi come Google, Facebook e Netflix hanno abbastanza risorse da potersi permettere di accollarsi una parte se non tutto questo costo di connessione, pur di preservare il rapporto diretto con i propri clienti. Invece, saranno i piccoli e i nuovi ad avere le maggiori difficoltà quando si tratterà di capire come fare a raggiungere un pubblico limitato alla parte “in chiaro” della rete.
Invece, dal punto di vista degli effetti indiretti su noi europei, a parte un rischio di aumento di costo di funzionalità e acquisto online perché i grandi vorranno recuperare parte dei soldi spesi e persi negli USA, c’è la possibilità che alcuni servizi non arrivino più fino a noi e soprattutto che molte delle imprese e dei servizi generati in Europa vengano bloggati da aggravi tariffari digitali all’entrata degli Stati Uniti. Insomma, negli USA pagare di più la connessione per accedere ad esempio ai servizi cloud di una azienda tedesca come SAP, oppure per vedere i servizi della britannica BBC.
I primi ad essere colpiti saranno con tutta probabilità i clienti dei servizi mobili, che da tempo sono nel mirino dei carrier, ovvero dei soggetti che beneficieranno maggiornamente dalla net netruality: sono loro infatti ad aver visto erodere i margini dagli Over The Top e sono loro che sostengono i costi maggiori per la realizzazione delle infrastrutture di connessione. Probabilmente gli USA vedranno bouquet di siti web e servizi compresi nella tariffa base e spese exgra per andare verso altre parti premium o semplicemente non comprese nel prezzo iniziale. Questa politica probabilmente genererà anche l’invidia dei provider e carrier nostrani che cercheranno di fare altrettanto.
Il rischio è di finire come alcuni paesi già da tempo sono: nel Guatemala ad esempio le persone hanno spesso due sim di due compagnie telefoniche diverse perché con una si può accedere gratuitamente a Facebook e con l’altra a Whatsapp. Oppure arrivare all’estremo della Corea del Sud, che filtra tutta una serie di siti per motivi politici e di controllo sociale (la stessa cosa accade ad esempio con Singapore), fino all’estremo del Grande FireWall cinese, che blocca alcune attività dall’esterno e dall’interno, senza possibilità di uscita.