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Due errori che Apple non doveva concedersi

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Costa caro sbagliare. E alle volte, non è neanche colpa tua. Ma non conta, perché le conseguenze si pagano lo stesso. Dai tempi di Steve Jobs Apple è cresciuta di uno o due ordini di grandezza, adesso è una multinazionale tra le più grandi del pianeta, velocissima e potentissima nella creazione e streamline dei suoi prodotti (guardate il tasso di adozione dell’ultima versione dei suoi sistemi operativi e comparatelo con quello dellla concorrenza), un portento nell’integrazione verticale, una macchina da guerra nella supply chain e nella creazione di valore aggiunto nei mercati del software per le terze parti (come gli Apple Store).

Però. Perché c’è un però. Anzi, due. Con il lancio della nuova generazione di telefoni, uno già sugli scaffali (iPhone 8/8 Plus) e uno in arrivo (iPhone X), qualcosa manca e qualcosa non viene comunicato a sufficienza. Quanto basta per creare un piccolo caso e probabilmente far sembrare vana parte della strategia commerciale dell’azienda. Vediamo meglio di cosa stiamo parlando.

Il primo sbaglio è un problema di maturità

Nel nuovo iPhone X non ce l’hanno fatta e hanno dovuto fare di necessità virtù. La mancanza di un sensore per le impronte digitali è dovuta a un problema di cattivo tempismo delle tecnologie. Nonostante l’iPhone X nasca come apparecchio sperimentale e più costoso con quantitativi minori di produzione proprio per consentire alla catena dei fornitori di realizzare le componenti che non sarebbero utilizzabili sulla scala gigantesca degli iPhone tradizionali, il lettore di impronte digitali sotto il vetro AMOLED non ce l’hanno fatta a metterlo lo stesso.

Poco male, non è colpa di Apple, certamente: la tecnologia sarà matura tra 6–12 mesi. E questo però è un problema perché arriveranno prima gli altri, cioè Samsung, che sta già accellerando con il suo Galaxy Note 9, che con tutta probabilità avrà tra le altre specifiche la presenza sotto il vetro di un lettore per le impronte digitali perfettamente funzionante. Bisogna vedere se Apple riuscirà a metterlo nell’iPad Pro dell’anno prossimo, assieme al lettore Face Id.

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Il secondo sbaglio è un problema di comunicazione

Apple poi ha deciso di tenere “basso” il livello di informazione su un piccolo gioiello tecnologico che in realtà, come ogni scelta comunicativa, nasconde dietro di sé una precisa scelta commerciale. Apple ha spinto molto sulla capacità di ricarica wireless, cioè contactless, dei suoi nuovi iPhone e sullo sviluppo di una piattaforma per la ricarica (AirPower) e poi su un ecosistema di produttori terze parti che partecipano alla licenza della tecnologia, Qi, che è già uno standard internazionale ben diffuso (in proporzione rispetto alle altre due tecnologie wireless standard concorrenti). Si capisce bene perché.

Inoltre, Apple cerca di minimizzare il fatto che i suoi telefoni e tablet abbiano un connettore dati ed energia unico, chiamato Lightning, mentre i suoi Mac adesso stiano passando alla porta universale Usb-C che trasmette sia dati (ma anche video e altri protocolli come Thundertbolt 3) che energia elettrica.

Infine, i telefoni e tablet di Apple hanno sempre gli stessi alimentatori a basso voltaggio, che richiedono molte ore per completare la ricarica. Il risultato è che una nicchia di prodotto che poteva essere una straordinaria invece agonizza, cioè non viene “vista” dai clienti, se non per la presenza di un piccolo, magico cavetto. Il fatto è che i nuovi iPhone e gli iPad Pro hanno la possibilità di ricaricarsi alla velocità della luce con i caricabatterie dei MacBook, a partire da quello “piccolo” del MacBook 12 e crescendo fino ai “mattoni” dei MacBook Pro 13 e 15 pollici serie Usb-C.

Apple vende il piccolo cavetto di connessione a prezzi esosi, ma al di là di questo la possibilità di ricaricare in mezz’ora praticamente l’80% di un iPhone 8 o di un iPad Pro è quasi un miracollo che permette di girare il mondo con un unico caricabatterie e due cavetti portandosi dietro un quantitativo non indifferente di tecnologie Apple. Manca l’adattatore per l’Apple Watch e poi l’ecosistema sarebbe perfetto. Ci sentiamo di dire che, anche per chi possegga solo iPad o iPhone (o meglio ancora, entrambi) possa convenire comprare il caricabatterie da 27 Watt del MacBook 12 con il cavetto di connessione Usb-C-Lightning e utilizzarlo come caricabatterie principale, in casa, in ufficio e in viaggio. Soprattutto in viaggio.

Però ci chiediamo sempre perché Apple non aggiorni i suoi caricabatterie per iPad e iPhone e poi perché non faccia questo nuovo, definitivo e inevitabile salto di formato nel connettore degli apparecchi iOS: come abbiamo salutato la porta a 32 pin, adesso sarebbe arrivato il momento di salutare quella Lightining e convergere tutto su quella Usb-C. Oppure no?

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Conclusione

Sono due errori molto diversi, due sbagli che vengono fuori da due storie diverse. Ma nonostante tutto sono due gigantesche – per via della scala di Apple – opportunità mancate.

Il sensore dell’impronta digitale, anzi la sua mancanza, sarà forse il grande problema di iPhone X davanti a Samsung. E invece la mancata comunicazione e il mancato sviluppo delle tecnologie di ricarica coerenti e sempre più rapide sono un problema, che soprattutto in epoca di batterie che durano meno di un giorno, farebbero molto molto comodo. Non pensate anche voi?

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