Infatti, secondo Yankee Group, quello di Apple e AT&T con iPhone è forse l’esempio più brillante di come questo tipo di rapporto – che in Italia è arrivato solo recentemente ma che è stato caratteristico dei mercati anglosassoni per anni – sia effettivamente al limite. In pratica, il fornitore di telefonia permette al cliente l’acquisto di un telefono a prezzo bassissimo o pari a zero a condizione che il cliente sottoscriva un contratto di durata biennale o comunque di una certa lunghezza.
Il costo fisso sostenuto mensilmente dal cliente dovrebbe consentire rapidamente al carrier di recuperare la cifra che deve pagare al creatore del telefono, in questo caso Apple, e quindi cominciare a fare utili. Invece, nel caso dell’iPhone americano, non accade per tre motivi. Il primo è che Apple ha negoziato non solo un prezzo di entrata per l’iPhone alto, ma che AT&T deve anche pagare una certa cifra (non chiarita esplicitamente dalle due aziende) per ogni mensilità di contratto che AT&T fa firmare ai suoi clienti. Ancora, AT&T offre Internet flat ai suoi clienti, in cambio di una determinata cifra, facendo un calcolo a priori di quale possa essere l’uso medio della rete, mentre con iPhone questo uso si è alzato sensibilmente.
Infine, per poter conquistare nuovi clienti dagli altri operatori AT&T è costretta a praticare sconti e offrire servizi a prezzi ridotti, in questo modo erodendo ulteriormente i propri margini. Questa situazione, che pure produce per il carrier americano più di 7 mesi di utili, pari a circa il 30% rispetto al fatturato totale derivante dal contratto sottoscritto dal cliente, è considerata ben più bassa delle medie attese nel settore telefonico.