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Strage di San Bernardino, le famiglie citano in giudizio Twitter, Google e Facebook

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Twitter, Google e Facebook sono state citate in giudizio dalle famiglie vittime della cosiddetta strage di San Bernardino (California), la sparatoria avvenuta nel 2015 in un centro sociale per disabili nota agli utenti della Mela per il braccio di ferro tra Apple e FBI perché quest’ultima voleva sfruttare il caso per ottenere da Apple una backdoor per accedere all’iPhone dell’attentatore (dopo un lungo tira e molla, l’FBI riuscì a individuare un modo per accedere al telefono, ma dallo sblocco del telefono non si ricavò nulla di rilevante).

Nell’azione giudiziaria si afferma che i big dei social media hanno aiutato l’ISIS a costruire profili online e promuovere il reclutamento. Syed Rizwan Farook e Tashfeen Malik, marito e moglie, entrarono in un centro sociale per disabili, mascherati e armati di pistole e fucili, aprendo il fuoco contro la folla, uccidendo 14 persone e ferendone altre 24, tra cui due poliziotti. I due attentatori furono uccisi in uno scontro a fuoco con i poliziotti non molto lontano dal luogo della strage.

“Senza gli accusati Twitter, Facebook e Google (YouTube)” si legge in un documento depositato mercoledì a Los Angeles, “negli ultimi anni la crescita esplosiva dello Stato Islamico, il più temuto gruppo terroristico al mondo, non sarebbe stata possibile”. E ancora: “Per anni i convenuti hanno consapevolmente e sconsideratamente fornito ai gruppi terroristici dello Stato Islamico account da usare sui social network e attirato nuove leve”.

Da tempo non mancano critiche indirizzate verso i social network, colpevoli di aver fatto troppo poco per impedire che le varie piattaforme fossero utilizzate per diffondere la propaganda terroristica. Non sarà ad ogni modo difficile per i legali delle aziende citate difendere i rispettivi clienti. I social più importanti hanno da mesi deciso di collaborare con le autorità per creare un database di foto e video utilizzati dai terroristi per reclutare nuovi adepti. A dicembre dello scorso anno le società hanno affermato che non c’è posto per i contenuti che promuovono il terrorismo all’interno delle piattaforme sociali.

Tashfeen Malik, a sinistra, e suo marito, Syed Farook, alla dogana dell'Aeroporto Internazionale di Chicago-O'Hare
Tashfeen Malik e suo marito Syed Farook, all’Aeroporto Internazionale di Chicago-O’Hare

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