Se possiamo dare una testimonianza di quello che ha rappresentato Steve Jobs in questi anni per chi scrive non possiamo tralasciare uno degli aspetti fondamentali della sua carriera nel mondo dell’information technology, quello della comunicazione.
Steve Jobs è stato per tanti versi il più grande affabulatore dello stile di vita digitale e lo ha fatto attraverso i suoi Keynote che anno dopo anno dovevano lanciare un nuovo importante prodotto oppure mascherare la mancanza di grandi vere novità.
Agli inizi degli anni duemila Apple aveva i suoi appuntamenti stagionali fissi, i MacWorld Expo San Francisco a Gennaio e New York (dopo Boston e prima di Parigi) in estate: ad ogni evento doveva corrispondere una occasione per esaltare la marea di fan che accorrevano alla conferenza inaugurale facendo la fila per ore per assistere ad uno spettacolo tra il rito religioso e il concerto rock. Quattro o cinquemila persone attendevano in silenzio l’arrivo del proprio guru in un format sempre più consolidato, puntata dopo puntata con l’attore principale che indossava l’abito di scena con cui vestiva anche nella vita di tutti i giorni, quella combinazione di Jeans, maglietta nera e sneakers che è diventata insieme al suo volto sempre più segnato dalla malattia un vero insieme iconico degli anni duemila.
Jobs era in grado di allestire spettacoli perfetti, con una perfetta sincronizazzione delle sue entrate e di quelle dei comprimari in cui gli unici intoppi erano le parole emozionate di qualche CEO di terze parti un po’ confuso e intimorito per il grande pubblico che aveva di fronte e il personaggio che aveva di fianco.
Nelle settimane scorse, rovistando tra i vecchi nastri della nostra videocamera abbiamo trovato quelli relativi al 2000 e nel reportage delle expo è compresa anche una parte del keynote di Steve Jobs in cui presentava le varianti del suoi primi iMac in una fase abbastanza critica dell’azienda con il “cubo” che stentava a decollare e in cui cominciavano ad affiorare i problemi di fornitura dei processori di IBM. Qui Steve doveva inventarsi una rinfrescata di colori per i suoi computer compatti e nuovi lanci software (come quello di iMovie in cui recita pure la parte del figlio che manda un video ai genitori) per rendere lo show ancora una volta accattivante.
Le riprese effettuate con una telecamera amatoriale non sono quelle patinate e ripulite che vengono offerte oggi dopo un controllo e un passaggio in post produzione: al contrario offrono un controcampo del fondatore di Apple mentre scruta il pubblico, valuta la reazione durante la presentazione di un filmato, partecipa come “valletto” alle demo del suo vice Phil Schiller, canticchia una canzone e batte il tempo all’ombra dei riflettori in una sala in cui qualche migliaio di persone è convenuta per celebrare un rito che all’esterno può sembrare folle.
A noi, che abbiamo assistito come cronisti a tanti di questi eventi negli ultimi anni raccontando in gran parte l’aspetto tecnico, a noi mancherà vedere Steve Jobs fare smorfie, osservare da dietro le quinte e pure arrabbiarsi platealmente in questi spettacoli in cui si poteva misurare il successo di una proposta di un software o di un computer dalla risata o dall’applauso a scena aperta o dall’esclamazione di stupore riflessa negli occhi del suo inventore.
Qui sotto uno spezzone del video girato da Macity.