Apple ha presentato una proposta al Copyright Royalty Board statunitense, un’idea che permetterebbe di semplificare il meccanismo delle royalty versate agli autori, incrementando la remunerazione versate dai servizi di musica in streaming e questo le permetterebbe di attaccare Spotify.
Apple propone il pagamento di 9.1 centesimi ogni 100 volte che un brano viene riprodotto. La formula sostituirebbe i lunghi passaggi ora previsti dalle norme federali per le tariffe della musica in streaming che spesso disorientano i musicisti impedendo di capire bene il flusso di denaro che arriva da questi servizi.
Secondo The New York Times obiettivo di Apple è anche mettere in difficoltà Spotify: la proposta della Mela obbligherebbe il concorrente a versare molto di più agli autori, con specifiche mosse pensate per attaccare il cosiddetto modello freemium di Spotify. “Uno stream interattivo, ha un valore intrinseco” scrive Apple; “indipendentemente dai modelli di business scelti dai provider”.
Il servizio di musica in streaming della Mela, Apple Music, è stato presentato lo scorso anno ottenendo il supporto de big dell’industria musicale, con una formula che non prevede versioni gratuite ma abbonamenti da 9,99 euro al mese per l’intero catalogo. Spotify offre, invece, il servizio sia in variante gratuita, sia a pagamento, un modello che ha portato a rapporti difficili con le case discografiche e gli editori musicali secondo le quali la gratuità del servizio non paga abbastanza in termini di royalty e sminuisce la musica in generale.
Da alcuni mesi molti autori puntano il dito anche contro YouTube, affermando che Google non paga royalty a sufficienza e che la disponibilità gratuita di milioni di filmati ostacoli la crescita dei servizi a pagamento.
Trent Reznor, cantante dei Nine Inch Nails ma anche Chief Creative Officer di Apple Music ha qualche settimana addietro attaccato YouTube affermando che la sua esistenza è basata su contenuti caricati gratuitamente dagli utenti senza il permesso dei titolari dei diritti d’autore. Un portavoce di Google aveva risposto che “la stragrande maggioranza di etichette e editori ha accordi di licenza con YouTube che consentono di lasciare i video dei fan sulla piattaforma e ottenere ricavi da questi”.