I vecchi iPhone muoiono polverizzati, in gran parte, a Hong Kong e diventano finestre, vetri, mobili. È questo il destino dei telefoni della Mela non più utilizzabili mandati da Apple allo smaltimento, un processo che è più complesso e strutturato di quel che si pensa, come spiega Bloomberg.
I passaggi sono molti e prevedono un grande numero di valutazioni e strutture che sono destinate sia a proteggere l’ambiente, sia il patrimonio intellettuale e le casse di Cupertino. Tanto è vero che l’approdo finale dei vecchi iPhone ormai inutilizzabili è una struttura iper vigilata, 24 ore su 24, con guardie di sicurezza e un controllo meticolosissimo.
Il funerale di un iPhone, il primo passo verso la degna sepoltura, avviene quando il telefono viene portato in un centro autorizzato per il ritiro e il riciclo. Questo significa la spedizione del dispositivo ad Apple o la consegna a un Apple Store. Gli incaricati valutano la sua condizione; se è ancora accettabile viene mandato a un partner autorizzato che lo rivenderà sul mercato di seconda mano (mentre al cliente viene dato un buono acquisto), se non è più rivendibile l’iPhone viene indirizzato all’approdo finale, un impianto per la sua distruzione e il riciclo dei materiali di cui è costituito.
Parliamo di “materiali” e non di componenti perchè, al contrario di alcuni concorrenti, Apple non consente di smantellare i telefoni. Non succede per essi, cioè, quello che consente Microsoft che vende i display dei Surface a una società che li installa sui taxi di New York, nè intraprendono il percorso delle fotocamere di alcuni smartphone di altri marchi che finiscono su alcuni drone-giocattolo, questo per impedire il proliferare di prodotti clonati o falsi.
È per questo che i telefoni di Apple riciclati non sono mai mescolati con altri dispositivi di marchi differenti (i partner devono provvedere un processo di recupero e riciclaggio separato e dedicato solo agli iPhone) ed è per questo che ciascun prodotto Apple viene privato di logo e marchi prima di finire al riciclaggio.
La principale struttura per la distruzione dei dispositivi Apple, di proprietà del Li Tong Group inaHong Kong (dove si trovano tre differenti impianti dedicati alla distruzione di dispositivi della Mela; un’altra decina di trovano in varie parti del mondo), ha una sicurezza paragonabile a quella di un impianto che l’iPhone lo costruisce. L’obiettivo primario è quello di impedire assolutamente che ogni iPhone possa anche solo rischiare di essere recuperato e venduto come usato o utilizzato per cedere le sue componenti.
Il primo passaggio della distruzione del telefono passa per la separazione delle componenti principali. Poi si passa, in una camera pressurizzata per non disperdere neppure un grammo di polvere, alla sua polverizzazione; inutile dire che tutta la polvere appartiene, fino all’ultimo grammo, ad Apple. Viene attuata una meticolosa verifica su quel che entra ed esce dall’impianto: il peso del materiale recuperato deve essere pari a quello che ha fatto il suo ingresso nel sistema
I rifiuti pericolosi sono conservati in impianti autorizzati; partner che si occupano di riconversione offrono una commissione su materiali quali oro e argento, altri elementi sono ridotti in polvere e vanno a finire in oggetti quali infissi d’alluminio, mobili, piastrelle. In pratica una parte del telefono è destinato a morire, diventando una finestra, una mattonella o un elemento di arredo…
Per il riciclo Apple collabora con 140 partner in tutto il mondo, e ogni anno le strutture sono ricontrollate in base a parametri quali salute e sicurezza, eco-compatibilità, tracciabilità dei materiali, responsabilità sociale e altri requisiti. Dal 2010 l’obiettivo che la multinazionale di Cupertino si è data è di raccogliere, per poi riciclarlo, il 70% del peso dei prodotti venduti sette anni prima, in tutto il mondo. A detta di Apple nel 2014 è stato possibile ritirare 40.396 tonnellate di rifiuti elettronici. Si tratta di oltre il 75% del peso totale dei prodotti venduti sette anni prima, e molto di più di quello che dichiarano altre aziende del settore. Nel 2014 è stata recuperata una quantità di acciaio pari a quella necessaria per costruire 160 km di ferrovia.