Tornano in auge le musicassette, i supporti a nastro magnetico sconosciuti a molte nuove generazioni ma che dalla metà degli anni sessanta fino all’inizio degli anni 2000 sono stati il metodo più diffuso, economico e semplice per la distribuzione di musica.
Steve Stepp, Presidente della statunitense National Audio Company (NAC) con Ars Technica ha parlato di una crescita de 20% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, con volumi di vendita cresciuti fino al 31% a ottobre di quest’anno.
“Non abbiamo mai pensato che l’audiocassetta era finita” ha detto Stepp, spiegando che con l’arrivo dei CD vari competitor della sua azienda sono usciti dal mercato e altri si sono dedicati esclusivamente alla produzione di CD, consentendo loro di acquisire i concorrenti sparsi per gli USA.
NAC continua a comprare società specializzate nella produzione di audiocassette (l’ultima, la società di un suo amico nel Kansas), ha otto linee di produzione dedicate e impiega più di 40 persone (inclusi 4 grafici e nove ingegneri audio). Alcuni macchinari per la produzione sono stati acquisiti in passato solo per recuperare parti di ricambio, giacché molti di questi sono introvabili.
Il 2016 secondo Stepp è un mercato in crescita, e la sua azienda ha registrato ordini anche da Finlandia, Estonia e Russia, paesi dove evidentemente altri competitor hanno gettato la spugna tempo addietro.
Tra i dispositivi che indubbiamente contribuirono al successo delle musicassette, il Walkman di Sony, re incontrastato della musica portatile fino all’avvento di Phone, iPod e altri lettori portatili di musica.
Il ritorno delle musicassette è da molti bollato come una moda passeggera e inutile: si tratta di supporti poco pratici e affidabili e che non offrono sostanzialmente alcun vantaggio rispetto al digitale. Il mercato è probabilmente mantenuto in vita da appassionati che amano riavvolgere il nastro, cambiare lato, andare avanti e indietro e così via: gestualità di nostalgici senza alcun senso pratico.