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Nasce l’ARMT. Tempi duri per DRM in Francia? Non proprio

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E’ definitivamente arrivata. Dopo l’annuncio dell’estate scorsa. la Francia ha iniziato a concretizzare la nota Loi relative au Droit d’Auteur et aux Droits Voisins dans la Société de l’Information, più conosciuto come legge Dadvsi.
Una legge nata per contrastare gli effetti non graditi dei DRM e che si mette di traverso rispetto alle strategia di molti società  impegnate nella distribuzione multimediale, Apple inclusa.

Nasce l’ARTM
Primo passo della legge è stato costituire la Autorité de Régulation des Mesures Techniques (ARMT), composta da sei membri scelti fra sei istituzioni differenti: Consiglio di Stato, Corte di Cassazione, Corte dei Conti, Accademia della Tecnologia, Consiglio superiore della proprietà  Letteraria e Artistica e Commissione per la copia privata.

Si evidenzia un’importante eterogeneità  in seno all’Autorità , per assicurare una prospettiva onnicomprensiva sulle problematiche che si andranno ad affrontare.
Inoltre i membri dovranno essere slegati da qualunque rapporto con società  ed industrie aventi a che fare con distribuzione dei contenuti multimediali.

Di cosa si occuperà  esattamente l’ARMT?
Due gli obiettivi: implementare il diritto di interoperabilità  per i DRM; assicurare che i DRM non impediscano di usufruire di alcune eccezioni alle tutela del copyright, prima fra tutte la copia privata.

Interoperabilità 
L’Autorità  dovrà  accertarsi che nella distribuzione dei contenuti multimediali sia assicurata l’interoperabilità  degli stessi fra i vari competitors.
Pare esserci un vuoto giuridico, in quanto non viene esattamente definito cosa si intenda per “interoperabilità ” ma è lasciato all’ARMT il compito di valutare di volta in volta la situazione. Allo scopo, l’ARMT potrà  anche ottenere la collaborazione dell’antitrust francese (Conseil de la Concurrence).

Punto importante è che solo software publishers, produttori di sistemi tecnici e service providers possono denunciare mancanza di interoperabilità  rivolgendosi all’ARMT. Aspetto controverso, in quanto escludere consumatori o gruppi di consumatori sembrerebbe una contraddizione intrinseca ad una legge nata per tutelare i diritti dei consumatori stessi.

D’altra parte il legislatore con questa clausola sostiene di voler impedire nociva diffusione di informazioni tecniche e sensibili che potrebbero rendere inutile i DRM.
Quest’osservazione nasce dal fatto che l’interoperabilità  necessità  di una condivisione di tecnologia: ogni produttore dovrebbe condividere con gli altri competitors le tecnologia utilizzate a tutela della propria “merce”.

Un aspetto molto delicato e precisamente regolamentato. L’iter procedurale in caso di denuncia, prevede una tentativo di conciliazione fra le parti; nel caso di fallita conciliazione, l’ARMT avrà  due mesi di tempo per decidere l’ingiunzione. Durante il processo, le parti possono chiedere di poter consultare le informazioni tecnico/sensibili; concessa la consultazione, è previsto un indennizzo a favore di chi sarà  costretto a rivelare le informazioni sensibili; l’ingiunzione avrà  effetto solo a indennizzo pagato.

Nel caso di mancato rispetto dei dettami dell’ARMT, sono previste anche multe salate, che possono arrivare fino al 5% del fatturato dell’azienda. Sarà  comunque possibile ricorrere in appello.

Il copyright e le sue eccezioni
Oltre alla tutela dell’interoperabilità , l’ARMT dovrà  anche garantire che i DRM permettano le eccezioni al copyright consentite dalla legge cioè: eccezione per copia privata, per l’insegnamento o la ricerca scientifica, per benefici nei confronti di persone disabili e per librerie, musei e archivi.

In questo caso pure i consumatori e le associazioni di consumatori potranno denunciare una violazione di tali diritti e tentare di risolvere il contenzioso. Prima rivolgendosi direttamente al produttore allo scopo di trovare un accordo; poi in mancanza di accordi sarà  l’ARMT a decidere.

Nonostante queste premesse, la conclusione sembra rivoltare totalmente la frittata. Infatti, nel caso più controverso, cioè la tutela della copia privata, sorgono due problematiche non di poco conto.

Innanzitutto il diritto alla copia privata non riguarderebbe i contenuti online, che sembrano non contemplati dalla legge; il che ci porta a pensare alle recenti mosse della comunità  europea.

Inoltre è stata inserita una clausola che permette la copia privata solo a patto che da tale azione non derivi uno sfruttamento del lavoro del detentore dei diritti, e non ne pregiudichi gli interessi del medesimo.
Una clausola decisamente scomoda, che pregiudica la libertà  di farsi le proprie copie private: sarà  solo l’ARMT a stabilire se tale libertà  sia effettivamente non dannosa (e quindi consentita) per i depositari dei diritti.

Un passo avanti e mezzo indietro
La legge Dadvsi era stata approvata allo scopo di sciogliere alcuni nodi fondamentali; benché la regolamentazione si sia espressa chiaramente su alcuni aspetti (più che altro procedurali), il legislatore sembra averne complicati altri.

Soprattutto l’impotenza dei consumatori nei confronti dei DRM ha lasciato campo libero agli attori dell’industria della distribuzione multimediale; punto abbastanza paradossale se pensiamo che la legge era nata con lo scopo principale di tutelare proprio il consumatore da un mercato troppo frammentato e dispersivo.
Il rischio ora è quello di trovarsi di fronte ad un mercato non più frammentato ma comunque sempre distante dalle esigenze degli utenti e vicino agli interessi dei produttori.

In secondo luogo i richiami alle eccezioni al diritto sul copyright, più che una sottolineatura sembrano avervi tirato una riga sopra. L’introduzione della clausola a tutela degli interessi di chi possiede i “diritti” appare alquanto problematica; a poco serve avere dato voce in capitolo ai consumatori: si tratta di una voce soggetta ad ogni possibile rivalsa tramite la clausola anzidetta.
Senza contare il vuoto legislativo che circonda il concetto di interoperabilità  e l’ambito dei contenuti distribuiti online.

Detto ciò, la creazione dell’ARMT è una novità : per la prima volta nasce un’autorità  a tutela dell’interoperabilità  per gli interessi del consumatore. Questa presa di posizione d’Oltralpe potrebbe spingere altri paesi dell’Unione Europea a interessarsi alla questione, prendendo provvedimenti ispirati alle mosse del governo Francese.

La recente apertura dei lucchetti sigillata dall’accordo Emi-Apple si muove nella stessa direzione, sebbene parallela, della legge Dadvsi e a ben vedere, un’estensione totale del modello DRM-free potrebbe rendere inutile leggi di questo tipo.
Le stesse reazioni di Apple nei confronti della legge non furono molto tenere e l’accordo fra la Mela e la major britannica hanno espresso chiaramente le preferenza di Steve Jobs a percorre un’altra strada nell’affrontare le problematiche legate ai DRM.

Il fatto è che i DRM, per ora, continuano ad esserci, soprattutto sui contenuti video, e non sembra opportuno limitarsi ad attendere che sia il mercato a rigettarli, soprattutto perché un rigetto universale è tutt’altro che scontato.

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