E così ci siamo, siamo arrivati al momento di Tim Cook. Il momento che definisce una carriera. Il momento in cui si capisce se la fiducia di Steve Jobs e la pazienza degli stakeholder di Apple sono state ben riposte in Cook. Da tre anni l’uomo alla guida di Apple ci prepara per una nuova ondata di prodotti, per un salto quantico, per uno scarto di fantasia capace di travolgere il mercato sempre più affollato. Stiamo per assistere a questo momento, se davvero ci sarà.
Il Tim Cook che salirà sul palco stasera (orario italiano, la mattina in California) gioca una battaglia dalle molte facce. Una battaglia che è molto meglio vincere, perché ipoteca il risultato di tutta la guerra. Il primo punto ovviamente è con il valore delle azioni, cioé la risposta del mercato agli annunci. Ma quello già sappiamo che sarà quasi sicuramente negativo, perché da un decennio vale il cinico detto di un agente di Borsa di Wall Street: “Apple si compra sui rumors e si vende sui prodotti”. Ormai lo fanno tutti, l’eccezione probabilmente ci sarebbe solo se sul palco salisse uno Steve Jobs clonato e cresciuto in laboratorio negli ultimi due anni.
Il secondo punto della battaglia di stasera è con i rumors, quella serie infinita e pornografica (in senso etimologico) di voci, foto, video e aberrazioni varie. Macity come tutte le altre testate giornalistiche ha il dovere di rendere conto ai propri lettori quel che succede e quello che sta circolando in rete. Ma spesso i cronisti sono sopraffatti dalla mole imbarazzante di indiscrezioni che provengono dall’Asia, dal quantitativo di analisti o presunti tali che per far sapere di essere ancora vivi devono sparare la prima cosa che gli passa per la mente (e che altri non hanno ancora detto, quindi sempre meno probabile) senza pietà per l’intelligenza e la pazienza dei lettori. Una mole di cose effimere che verranno spazzate via e dimenticate nel momento stesso in cui sul palco si svelerà quel che invece è stato il frutto del duro lavoro di migliaia di ore di centinaia tra ingegneri, informatici, uomini e donne del marketing, commerciali, della logistica e di tutte le altre funzioni che l’azienda mette in pista per realizzare un nuovo prodotto.
È un tema delicato quest’ultimo perché, se è vero che un prodotto può anche essere una ciofeca e che gli utenti, il “pubblico a casa”, hanno il sacrosanto diritto di dirlo, bisogna anche ricordarsi che c’è tanto lavoro dietro alla tecnologia, particolarmente per Apple che fa sempre un difficile esercizio di “rimozione” della complessità facendo apparire semplice e naturale cose che invece richiedono studio, lavoro, applicazione.
Un terzo punto di questa battaglia poi è quello relativo alle critiche nei confronti della leadership di Cook, soprattutto alle trasformazioni alle quali ha sottoposto Apple. In realtà già iniziate nell’ultima fase della vita di Steve Jobs, ma comunque tenute a bada dal compianto co-fondatore dell’azienda che si concentrava su pochi prodotti e poche persone chiave, lasciando agli altri un compito quasi decorativo. Cook invece ha assunto, promosso, articolato, complessificato, creato livelli su livelli di burocrazia interna. Le decisioni in azienda adesso passano attraverso tanti gradi di separazione, come in una IBM o in una Microsoft qualunque. È stata una scelta fisiologica perché il business di Apple è diventato gigantesco, ma sono entrate anche tante persone che con la vecchia azienda non c’entrano probabilmente niente. Tim Cook ha sbagliato ad avallare questo processo?
Infine, ultimo punto, quello a cui molti se non tutti guardano. I prodotti. Ci si aspetta che Cook, uomo dalla leadership etica fondata sui valori – che comunica in ogni keynote e che adesso hanno un posto davvero rilevante nella vita dell’azienda – abbia anche una visione del futuro e dei prodotti e servizi a questa necessari. Andando all’essenza di Steve Jobs, questo era uno dei tre aspetti che hanno definito il suo genio (per chi scrive: la capacità di vedere un futuro, di dare forma agli oggetti che l’avrebbero realizzato gettando via tutto quello che era inutile e inadeguato, di scegliere le persone con le quali realizzare questa visione).
Questo ci si chiede in sostanza se sia nel DNA di Tim Cook, direttamente (la sua visione) o indirettamente (la visione dei suoi, che lui però è capace di ascoltare e implementare). I critici sostengono che Cook stia campando con gli appunti lasciati da Steve Jobs. Ma, si dice, il tempo è oramai scaduto ed è giunto il momento di vedere e toccare le invenzioni genuinamente appartenenti all’epoca di Cook.
Ecco, come vedete le carte in gioco sono davvero tante. E la posta è molto alta. Non c’è in ballo solo la posizione di Cook come Ceo di Apple, ma c’è piuttosto in gioco l’eredità di Jobs e la sopravvivenza nel medio-lungo termine dell’azienda e di quello che rappresenta. Le cose non sono attualmente tutte positive, non nascondiamocelo. Il rischio che si rompa il giocattolo (o che si sia già rotto) è concreto e possibile. Vedremo tra poche ore cosa succederà.