Anche Bill Gates ha voluto, alcuni mesi fa, un incontro con i neo-laureati di una grande università . Nel suo caso, Harvard, l’università che Bill mollò alla fine del primo anno per iniziare a fare business con Paul Allen (l’altro fondatore di Microsoft, il più tecnologico e adesso in pensione che si trastulla con lo yacht più grande del mondo). Durante l’incontro il suo uomo di fiducia, cioè quello Steve Ballmer che a furia di essere più realista del re adesso eredita la plancia di comando di Microsoft e la solitudine del capo, rideva con tempismo perfetto alle battute di un Bill Gates in forma smagliante. L’uomo che è stato per tredici anni (dal 1995 al 2007) il più ricco del mondo e che adesso è asserragliato nella terza posizione era infatti capace di alternare aneddoti personali a piccole battute e a considerazioni su come cambiare il mondo e come il mondo è già stato cambiato.
Bill Gates è un animale a sangue freddo: sono famose le sue battute “divertenti” e la sua epocale incapacità di abbinare giacca, cravatta e camicia, perlomeno nello stile più sobrio della East Coast e dell’Europa. à stato per più di trent’anni l’uomo giuda di una generazione di persone, i “geek”, gli sfigati del computer che vedevano in questo personaggio un po’ sbiadito e sicuramente non carismatico la loro rivincita. Facendo codice, dicevano a se stessi, potevano comunque diventare famosi e rispettati proprio come Bill Gates. E ci sono ancora oggi fan che spontaneamente vorrebbero sposare la filosofia, lo stile e la capacità di essere unici che Bill Gates ha dimostrato negli anni. Però.
Lo zio Bill in realtà ha perso il posto nel cuore di molti smanettoni quando ha cominciato a perdere colpi nel mondo dell’informatica: sfortunate edizioni di Windows, il sospetto della copia da Apple, pratiche molto aggressive sul mercato, prodotti pieni di bug, ritardi nelle consegne. Tutte cose che hanno reso lentamente meno popolare e meno “hacker” la figura di Bill. Sino a quando il dominatore indiscusso dell’epoca del Personal Computer non ha trovato sul suo cammino il suo secondo, potente avversario: Linus Torvalds. La nemesi finlandese, quello che non ha fatto i soldi ma tiene insieme alla coscienza pulita anche l’autorevolezza capace di ispirare le masse di programmatori di un nuovo sogno utopico, cioè l’open source (chiamato da Richard Stallman “Free software”). Dopo Steve Jobs, l’altro imprenditore prima sconfitto e poi tornato alla carica alla fine dello scorso secolo in una nuova vita per la sua azienda, cioè Apple, Torvalds è stato il secondo grande nemico.
A questo si aggiunge sicuramente Larry Ellison, il fondatore di Oracle e fiero avversario nel settore aziendale, poi il gruppo di “pirati” diventati aziendali di Sun Microsystems, e infine poi il ragazzino di Mosaic-Netscape, cioè Marc Andreessen. Tutti i nemici di Bill Gates, insieme agli uomini dell’anti-trust americano. E insieme ai due fondatori di Google, aiutati da un ex-Sun come Eric Schmidt, che rappresentano oggi proprio la nemesi di Microsoft e di Bill Gates, il vero nemico, la vera antitesi dell’impero costruito in trent’anni.
Bill Gates, che ha fondato Microsoft ad Albuquerque nel New Messico nel 1975, ha davvero rivoluzionato il mondo. Se non altro perché ha impostato un cambiamento di paradigma nell’informatica (quello che conta è controllare il software e soprattutto il sistema operativo, e non l’hardware) che ancora oggi ha senso e perché ha costruito un modello di capitalismo aziendale che viene tutt’ora studiato. E perché i suoi prodotti, volendo o non volendo, sono il riferimento della vita di tutti noi. Chi vive nel Primo mondo, nei paesi ricchi ed evoluti, in qualche modo si è trovato a fare i conti con i prodotti di Microsoft. Direttamente, se parliamo di Pc, indirettamente se parliamo di applicazioni (secondo Larry Ellison il vero monopolio segreto di Microsoft è quello che deriva da Office) e di server.
Lo zio Bill ha avuto una vita sinora che è stata analizzata e studiata e raccontata mille volte. Uomo freddo, astuto giocatore di pocker, rapidissimo nel fare i calcoli e a differenza di Steve Jobs anche ottimo programmatore, ha saputo sfruttare al massimo le opportunità apprese dal mercato e ha fatto crescere la sua azienda in maniera esponenziale. Dopo un inizio abbastanza traballante, fu la vendita del Basic per il Vic-20 e Commodore-64 all’azienda guidata da Jack Tramiel per qualche migliaio di dollari (il C=64, con trenta milioni di apparecchi venduti, è ancora oggi il singolo computer più venduto nella storia) a far capire a Bill che l’obiettivo non era vendere il software ma darlo in licenza. Nacque in quel modo l’idea di licenziare il Dos (appena acquistato da un’altra piccola società ) per lo standard creato da Ibm, cioè il P.C. E nacque in quel momento il suo impero, che all’inizio poggiava proprio sui computer di Apple, l’Apple II e poi il Macintosh, buona parte del suo fatturato.
Nel processo di selezione naturale il dominatore dell’epoca del Personal Computer è stato Bill con la sua Microsoft. Non il più innovativo, non il più elegante, non il più carismatico, non il più creativo, ma semplicemente il più monopolista e “grosso”. Il dominatore di trent’anni di storia, insomma, che adesso si trova sull’orlo di un cambiamento di paradigma. A 53 anni lo zio Bill guida oggi per l’ultima volta la sua macchina verso l’azienda che ha fondato. Non aveva capito le potenzialità di Internet (cercò prima di affossarla con Msn e poi di combatterla in maniera scorretta con il suo Internet Explorer contro Netscape) e ancora oggi dimostra di non volerle capire.
I suoi eredi combatteranno ancora per qualche anno, cercando di mantenere in piedi il paradigma della centralità del software e del controllo di tutto il mercato da parte di una sola azienda. Quando stasera lo zio Bill spengerà la luce e chiuderà la porta del suo ufficio, con i festoni colorati e i bicchieri di aranciata distribuiti ai dipendenti del piano nobile della palazzina dirigenziale numero uno nel campus di Redmond, avrà molto tempo per dedicarsi a quello che in realtà sta già facendo da anni. Cambiare il mondo. Speriamo che, con i soldi e l’esperienza acquisita negli anni, questa volta almeno gli venga bene.