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Wall Street Journal: «Le sfide difficili dell’Apple gentile di Tim Cook»

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Un uomo che lima le asperità, che è poco propenso a dire di no, che ama delegare i compiti. È questo il profilo di Tim Cook disegnato dal Wall Steet Journal in un lungo articolo tutto dedicato all’amministratore delegato di Apple. «Un CEO di tempo di pace – dice un anonimo insider Apple – al posto di un CEO di tempo di guerra che fu Jobs». Tutto il discorso, che presenta una serie di episodi e di risvolti psicologici noti accanto ad altri inediti, ruota proprio intorno al confronto tra l’approccio di Jobs e quello di Cook, profondamente diversi uno dall’altro come diverso è il modo di gestire l’azienda e di forgiarne metodi e traguardi.

Il giornale ricorda alcune delle mosse più clamorose, come l’acquisto di Beats, un passo che Apple con Jobs alla guida difficilmente sarebbe stato attuato. Anche la lunga serie di acquisizioni degli ultimi mesi sono un passaggio inusuale per un’azienda che ha sempre preferito costruire in casa le sue tecnologie. Cook dimostrerebbe anche in queste acquisizioni la sua mentalità più aperta e più collaborativa di quella che aveva Jobs, un modo di vedere i problemi e di affrontare le soluzioni che si rispecchia, dice il WSJ, anche nelle dinamiche interne dell’azienda.

cupertino tim cook

«Steve Jobs era il “no” personificato – dice un altro anonimo dipendente – Cook non si sente a suo agio a dire di no». Quando a Cook viene presentata una serie di idee il suo tipico modo di interagire passa per commenti come: «vediamo dove riusciamo ad arrivare con questa cosa» oppure «andiamo avanti». La ricerca del consenso avviene anche ai vertici dell’azienda, nella stanza dei bottoni, dove Jobs spadroneggiava e amava mettere i suoi sottoposti uno contro l’altro e dove invece Cook tende a costruire delle relazioni e a delegare.

Secondo alcune persone intervistate per l’articolo, questo avrebbe rallentato diversi processi decisionali e allargato oltre il dovuto gli obbiettivi, con prodotti che Jobs non avrebbe ammesso. Per altri la visione di Cook è giusta perché a distanza di 4 anni dall’ultimo grande progetto (iPad), Apple ha bisogno di allargare gli orizzonti per contrastare la concorrenza e costruire consenso anche tra i partner, che ora sono più coinvolti e ascoltati.

Tim Cook sta forgiando intorno alla nuova Apple, che lo rispecchia caratterialmente e umanamente, anche un nuovo gruppo dirigente. Cinque dei nove membri dell’esecutivo o sono stati reclutati o nominati nell’incarico da lui, in quanto amministratore delegato. Presto potrebbe anche cambiare il consiglio di amministrazione: Cook starebbe cercando nuovi membri da aggiungere al gruppo di 8, noto per la sua estrema fedeltà a Jobs. Sei dei sette consiglieri che stanno fuori dall’azienda hanno da 63 anni in su, quattro hanno occupato la poltrona da più di dieci anni, di cui due (Bill Campbell e Millar S. “Mickey” Drexler, sono nella stanza dei bottoni da fine anni 90.

Da questa Apple, luogo più gentile e rispettoso, più umano, Cook deve però riuscire a trarre quello che i metodi ruvidi e sbrigativi di Jobs erano riusciti a ricavare: prodotti “follemente” grandi, che erano il marchio di fabbrica dell’azienda fino a quando alla sua guida c’è stato il defunto fondatore.

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