Non può sempre andare bene. I successi di Google hanno ipnotizzato il mercato e fatto da volano per quella che i pessimisti definiscono la bolla del Web 2.0, una sorta di nuova “New Economy” (finì con lacrime e sangue nel 2000-2001, ricordate?). Adesso però alcuni nodi stanno arrivando al pettine.
L’anno che si chiude per Google non è stato tutto di successi. C’è stato il fattore crisi che ha colpito anche l’azienda nella sua parte più sensibile e preziosa: il capitale umano. Dopo aver attratto per anni migliaia di talenti da tutto il mondo, praticamente svuotando la Silicon Valley con stock options e promesse di stare nel posto più “cool” in cui si innova davvero, adesso Google licenzia. Senza grande clamore e senza decimare la sua forza lavoro, ma è comunque la fine di una eccezione che pareva senza limiti.
Poi c’è l’altro capitolo, quello di Chrome. Il software per navigare in rete, il browser che farà da sistema operativo e renderà indifferente se si usa Mac, Pc o Linux (perché tanto si va in rete) entra da buon ultimo nell’arena dei browser dove Internet Explorer, Firefox, Opera e Safari (tra gli altri) si confrontano.
E non guadagna. Anzi, è stato letteralmente un mezzo fallimento (è sotto l’1% di adozione) rispetto alle neanche troppo velate aspettative della dirigenza di Google. Adesso, è il marketing a promuoverlo con forza, con banner e pubblicità trasversali a tutti i prodotti Google. Per la prima volta, viene da aggiungere, un prodotto di Google non passa dalla bocca del passaparola ma dal lavoro a tavolino: sintomo di un malessere fortissimo.
Infine, Android. Il telefono delle meraviglie, cioè la piattaforma che doveva fare piazza pulita di iPhone come di Nokia-Symbian e Windows Ce-Mobile, sta arrancando. Perché non è “cool” e perché non è uniforme nell’esperienza. Quello che emerge, infatti, è che accanto al primo modello di Htc, gli altri che seguono avranno specifiche, schermi e caratteristiche diverse. Un ambiente eterogeneo che rischia di rendere molto difficoltoso l’affermarsi di uno standard di valore in ambiente completamente nuovo, dove tutto deve essere fatto per inventare da zero l’esperienza dell’utente nella fruizione dei nuovi apparecchi Post-Pc.
Il clima è rovente a Mountain View e anche il modo in cui la leadership dell’azienda è costruita viene messo in discussione. Accanto al leader maximo e uomo di mediazione Eric Schmit, che fa da amministratore delegato ai due ex ragazzi-prodigio Sergei Brin e Larry Page, sta nascendo una burocrazia di mezzadri e di vassalli, di uomini e donne di potere, incistati ai vertici dell’azienda, anche con legami non solo professionali.
In molti nei forum su Internet criticano il ruolo ad esempio di Marissa Mayer, trentatreenne vicepresidente potentissima (e appassionata di sfilate di moda in tutto il mondo, in cui si dice che si rechi non appena può) nonché compagna di uno dei fondatori. Il futuro di Google? Alla luce degli sviluppi del 2008, pare meno sfavillante del passato, considerando anche la spada di Damocle dell’accusa di essere un nuovo “Grande Fratello” orwelliano, non più mitigabile dicendo che il motto dell’azienda è “Don’t Be Evil”.