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La valle dei rumors, la segretezza di Apple da Jobs a Cook

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Tim Cook l’aveva detto: raddoppieremo gli sforzi, saremo muti, impenetrabili, silenziosi. Praticamente la faccia di un giocatore di poker. Però, a poker a quanto pare la Apple post-Steve Jobs non è tanto brava, perché non passa keynote in cui previsioni e annunci, leaks e rumors, non si moltiplichino.

C’è chi azzecca il lancio dell’iPad mini e chi fornisce le foto delle componenti dell’iPhone 5s, chi praticamente telefona con il 5c e chi invece naviga tranquillo con iOS 7 e con Mavericks, ovviamente prima che questi ultimi vengano annunciati e poi resi disponibili. Fabbriche cinesi, distributori internazionali, grossisti europei e americani, commessi infedeli: chissà chi è che mette in giro tutte queste voci. Si tratta di tante strade ma portano tutte ad un unico risultato.

Se Apple, anziché computer e apparecchi post-PC facesse libri o telefilm, sarebbe uno spoil selvaggio: la messa a nudo, prima della commercializzazione, del succo di quel che deve arrivare. Perché, in una strategia integrata di lanci che tengano tutti con il fiato sospeso, rivelare in anticipo cosa viene commercializzato, nel dettaglio, è peggio che rivelare il finale di Harry Potter o l’assassino di Game of Thrones. È scorretto, alla faccia di quelli che dicevano – tempo addietro – che era Apple stessa a seminare le voci e addirittura i telefoni nei bar di Cupertino, per tenere desta l’attenzione della stampa. Ah, se solo fosse davvero così.

Invece no. I dietrologi magari ci potrebbero vedere la congiura delle scie chimiche, l’assalto della finanza più spregiudicata e della concorrenza più amorale al fortino di Apple. Non è quello, probabilmente, o perlomeno non solo quello. Il fatto è che a Cupertino lentamente si sono allentate le fasce, un tempo strettissime, della sicurezza e della discrezione sui prodotti del futuro.

Era tutto nato non solo dalla mania per il controllo di Steve Jobs, ma anche da un esempio storico che il defunto fondatore dell’azienda non mancava di ricordare a chi si fosse premunito di fare la domanda giusta: “Si ricordi di Osborne, che annunciava prodotti futuri, in uscita dopo un anno, e magicamente smetteva di vendere quelli che aveva sugli scaffali in quel momento. Un vero suicidio”. Già un vero suicidio: Steve Jobs lo definiva così e questo è il vero seme della pianta della segretezza di Apple. Una pianta sulla quale hanno ricamato, si sono arrampicati e addirittura hanno costruito case sull’albero in tanti, forse troppi.

rumors iwatch apple 600

Ci sono libri, romanzi, saggi, racconti, post su blog e via dicendo che raccontano e romanzano questa idea della sicurezza come paranoia, come strategia, come rifugio, come mossa zen per influenzare la stampa e l’opinione pubblica. Di certo non era questa l’origine, anche se quasi di sicuro l’effetto è stato proprio questo. Con una nota. L’era Tim Cook non ha mai capito sino in fondo qual era l’ingrediente magico del “prestigio”.

Infatti, quando il prestigiatore fa uno dei suoi giochi di illusionismo, e Steve Jobs in questo era il Gran Mago, c’è una liturgia molto precisa: si mostrano le carte in tavola (la ragazza che sarà segata in due), si fa la cosa che sembra impossibile (si sega in due la ragazza) e poi ecco il “prestigio”: la ragazza per magia torna intera. Et voilà! Il prestigio è servito.

Questo, tradotto in termini comprensibili per un’azienda, vuol dire prendere e costruire tutta una mitologia attorno al termine della sicurezza, camere blindate, porte che non riconoscono i badge se non vengono passati tre volte, richieste impossibili. E poi fare un’altra cosa, che però fa la magia: sul palco del Moscone Center (o del campus di Cupertino) arriva la sorpresa.

Come funziona la serie di richieste e azioni impossibili che precedono lo svelamento finale? Un esempio: prima del lancio di iPhone, nel 2007, Jobs voleva che tutte le persone coinvolte nell’affare, compresi i manager delle altre aziende coinvolte, dormissero in una improvvisata sala del Moscone center, come esodati baraccati in un rifugio della Croce Rossa: la cosa non accadde, ovviamente, ma ci si andò abbastanza vicino.

Ecco, tutto questo funziona sempre meno. Tim Cook dice sempre che lui vuole tenere le cose sicure, che vuole far funzionare tutto, e sicuramente lui e i suoi dirigenti, sia quelli che hanno a che fare con gli impiegati di Apple che con i fornitori e i contractor delle altre aziende, sono super-tosti. Trovarsi di fronte un Phil Schiller o un Craig Federighi arrabbiati neri, oppure lo stesso Tim Cook, non è uno scherzo. Anzi, c’è da giocarsi la reputazione, una carriera e magari beccarsi anche una monumentale causa. Però Steve Jobs in questo era differente. Era molto, molto più temibile.

Perché, come ogni prestigiatore, come ogni mago, ti entrava sotto la pelle, ti cominciava a cambiare la testa, a ingarbugliare i neuroni, a non farti più distinguere i tuoi pensieri dai suoi pensieri. E la paura della sua rabbia aveva effetti devastanti, mitologici, totali. Era temuto fino nella più remota provincia e zona economica speciale cinese, fino nell’ultimo porto di Singapore per lo smistamento di container pieni dei suoi prodotti, nelle pieghe dei magazzini e dei centri di logistica delle aziende di distribuzione di tutto il mondo.

Il prossimo 22 ottobre – con tutta probabilità sappiamo anche la data giusta! – Apple presenterà la seconda parte della sua collezione autunno-inverno di prodotti. Ci saranno iPad, Mac, sistemi operativi. Con tante voci diverse sappiamo già molto, abbiamo visto ancora di più in fotografia, riusciamo persino a fare ipotesi se il nuovo iPad mini sarà qualche millimetro più spesso e più largo del precedente, causa inserimento di schermo Retina e batteria leggermente più grande e più capiente.

Intendiamoci: le voci c’erano anche ai tempi di Steve Jobs, e alcune volte ci azzeccavano, altre volte no. Addirittura, per il lancio della generazione di iMac fatti come una abat-jour, un gioco mal calcolato di tempi di pubblicazioni della rivista Time, che ne aveva ottenuto l’immagine in anteprima da mettere in copertina ma che usciva con l’edizione Australiana parecchie ore prima del keynote di Jobs, tanta fatica per la segretezza venne sventata clamorosamente. E Steve Jobs ci scherzava in sala, così come ci scherzava presentando l’iPhone, che era stato seguito da una coda di rumors lunga otto anni.

C’è però il rovescio della medaglia. Soprattutto dopo il lancio dell’iPhone e poi dell’iPad, che hanno preso in contropiede il mondo, tutti si aspettano quotidianamente non si sa quale miracolo da parte di Apple. Prodotti immaginifici che non si riescono neanche ad immaginare. Televisioni, orologi, teletrasporti. Il risultato è che i prodotti impossibili ovviamente non arrivano, le cose buone che vengono fatte nel frattempo sono sottovalutate e in definitiva Apple ci rimette solo perché qualcuno si inventa cosa dovrebbe fare, anche se non c’è niente che possa fare al riguardo.

Infine, vi siete mai chiesti perché non ci siano più “One more thing”? In parte perché lo stile di Tim Cook è differente, certo. Ma anche perché ormai viene tutto visto e anticipato in rete, da mille fonti diverse, che diventano irraggiungibili e insanzionabili perché sono troppe e troppo rumorose. Cosa potrebbe lanciare Tim Cook con un suo ipotetico One more thing? Un prodotto che abbiamo già visto fotografato in qualche fabbrica cinese una settimana prima e le cui specifiche sono già state anticipate in rete?

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