Dell’acquisto millantato come trasformazione del sito di pirati svedesi in un nuovo Napster legale e a pagamento rimane solo il fruscio delle carte legali e qualche sorriso tra avvocati. La sconfitta legale di Pirate Bay, con multe milionarie agli attivisti che lo spingevano come epicentro della nuova cultura digitale è totale. E adesso anche il tracker se ne va.
Nella logica dei siti PeerToPeer basati sul protocollo Bit Torrent, che consente lo scambio di file senza che nessuno debba materialmente scaricarlo e poi rimetterlo in condivisione, ma al volo già durante la fase di download, il tracker è sovrano. Il tracker guida i neofiti che hanno scaricato il file Torrent alla ricerca dei peer da cui scaricare e a cui dare pezzetti dei documento digitale. Spegnere il tracker vuol dire spegnere quella luce che nella notte guida i mariani come un faro attraverso mari perigliosi.
La risposta della comunità è stata gigantesca già nei mesi scorsi, perché adesso si sa che l’inevitabile prima o poi arriva. Con 4,4 milioni di dollari di multe, era inevitabile che prima si parlasse di contromosse legali, poi di fughe, poi di vendite, e adesso di lento smatellamento del servizio. Via dunque il tracker storico di Pirate Bay, il sistema per rendere trovabili i documenti in rete senza dover ricorrere a un motore di ricerca e quindi, secondo i pirati, senza dover rischiare le cause legali (che invece sono arrivate e sono state anche perse).
La scappatoia, per chi usa i client più moderni, non sfugge, tuttavia. Ci sono i sistemi come Peer Exchange (PEX) e Distributed Hash Table (DHT) che consentono, anche in assenza di un tracker, di ricostruirne uno. Basta un po’ di buona volontà e fa tutto in maniera automatica ad esempio Transmission per Mac. Però il fascino della Baia dei Pirati, la taverna digitale nell’angiporto dove i bit sono finalmente liberi dal controllo delle multinazionali cinematografiche e musicali, è finito: la luce è spenta, il tracker non fa pi bit-bit. Peccato.