Apple, Apple, Apple. Il nome dell’azienda americana rimbalza ovunque oggi, giorno dell’annuncio dei nuovi dazi voluti da Donald Trump, su TV e siti, anche quelli generalisti. La ragione è evidente nei dati di Borsa: il titolo AAPL, il “ticker” Apple a Wall Street, sta subendo perdite pesanti, che simboleggiano in maniera quasi perfetta le conseguenze delle scelte tariffarie dell’amministrazione americana.
Apple cala in modo significativo (circa il -10% nel momento in cui scriviamo, 250 miliardi di capitalizzazione persi) perché, più di molte altre aziende, è legata a quei mercati che subiscono i dazi più alti, come già evidenziato in un nostro precedente articolo. La Cina, in primo luogo, ma anche il Vietnam.
Quali alternative ha Apple?
Ma ci sono margini di manovra per contenere l’impatto delle nuove tariffe? Secondo l’analista Ming-Chi Kuo, sì. Anche se nessuna strada è semplice, e tutte richiedono un grado di collaborazione tra Washington e i paesi chiave della filiera produttiva.
In un post su X, Kuo — analista con contatti diretti nel mondo dei fornitori asiatici — ricorda che il vero nodo è la forte dipendenza dalla Cina, da dove arriva tra l’85 e il 90% dell’hardware destinato agli Stati Uniti. Ed è proprio la Cina il paese “meno incline a cercare soluzioni negoziate” per ridurre l’impatto delle tariffe.
Prezzi o margini
Per Apple si apre un bivio: aumentare i prezzi oppure accettare margini più stretti. Kuo stima che, senza contromisure, il margine lordo potrebbe ridursi dell’8,5-9%.
Uno scenario meno penalizzante si avrebbe se l’azienda riuscisse ad aumentare la produzione in India e Vietnam, considerati da Kuo “molto più propensi della Cina a ottenere esenzioni dai dazi”. In questo quadro, il progressivo spostamento della produzione verso questi paesi diventa una priorità strategica. Se la capacità produttiva in India raggiungesse il 30% del totale globale — obiettivo possibile nei prossimi anni — la perdita sui margini potrebbe ridursi a una forchetta tra l’1% e il 3%.
With 85-90% of Apple’s hardware assembly based in China and the rest in India and Vietnam, the Trump administration’s new tariff policies—imposing 54%, 26%, and 46%, respectively—will significantly raise costs for hardware exports to the US. If Apple keeps prices unchanged, its…
— 郭明錤 (Ming-Chi Kuo) (@mingchikuo) April 3, 2025
Le leve commerciali
Apple ha anche margini d’azione sul fronte commerciale. Potrebbe ritoccare i prezzi dei modelli di fascia alta, che rappresentano il 65-70% delle vendite di nuovi iPhone negli USA, contando sul fatto che questo tipo di clientela è più tollerante verso piccoli aumenti.
In alternativa, potrebbe spingere sui sussidi degli operatori, rimodulare gli incentivi del programma Trade-In o agire sui margini dei fornitori, in modo da contenere l’effetto percepito degli aumenti senza toccare direttamente i listini.
Un’altra possibilità, più sottile e meno visibile, è quella di aumentare leggermente i prezzi anche nei paesi dove i dazi non ci sono. Una strategia che consentirebbe ad Apple di compensare le perdite nei mercati colpiti dalle tariffe spalmando i costi a livello globale. In pratica, una logica di cross-subsidization: usare i profitti generati in un mercato per coprire i costi di un altro.
Non è una scelta tecnica, ma commerciale. In Europa, in Giappone o nei paesi arabi nessuno imporrà nuovi dazi sui prodotti Apple che arrivano dalla Cina, ma questo non impedirà all’azienda di alzare i listini anche lì.
Del resto, chi compra un iPhone da 1.200 euro difficilmente si fermerà davanti a un rincaro di 30 o 50 euro. E se questo basta a proteggere il mercato USA – il più strategico per volumi e percezione – l’operazione avrebbe perfettamente senso. Anche se significa far pagare agli europei le tariffe americane.
Il vero rischio: la domanda
Ma il pericolo più difficile da aggirare non è nei dazi in sé, quanto nelle loro conseguenze economiche indirette. Come già spiegato in questo approfondimento, le tariffe possono influenzare la fiducia dei consumatori, frenare la spesa e allungare i cicli di sostituzione. Per Apple – come per altri big del tech – questo potrebbe tradursi non solo in margini più bassi, ma anche in una domanda più debole da gestire nel medio periodo.
Ecco perché i dazi che, sulla carta, non ci riguardano, potrebbero finire per riguardarci eccome.