Siamo piccoli, quasi invisibili, in una delle partite più importanti del decennio. Come un nano che cerca di sedersi al tavolo dei giganti, l’Italia del quantum computing raccoglie le briciole in un mercato che sta diventando strategico e dove i governi stanno investendo cifre astronomiche. È questo il quadro che emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Quantum Computing & Communication del Politecnico di Milano.
Dal 2025 al 2035 sono stati e verranno investiti 17,7 miliardi di dollari di fondi pubblici nel mondo per le tecnologie quantistiche. Una valanga di denaro che si aggiunge ai 23,8 miliardi già stanziati tra il 2012 e il 2024. L’Asia guida la corsa con il 53% degli investimenti, trainata dalla Cina che da sola investe 15 miliardi di dollari. L’Europa segue con il 31% ma con un approccio frammentato che rischia di vanificare lo sforzo.
La corsa dei giganti
Rileggiamo con un attimo di calma, perché sono cifre impressionanti: l’Asia domina incontrastata il panorama degli investimenti quantistici, con la Cina che da sola mette sul piatto 15 miliardi di dollari. I numeri reali potrebbero essere ancora più alti, ma Pechino mantiene un velo di segretezza sui dettagli dei suoi programmi di ricerca. La corsa al quantum computing è diventata una questione di sicurezza nazionale, con implicazioni geopolitiche sempre più evidenti. Gli Stati Uniti seguono una strategia differente, preferendo stanziamenti annuali più contenuti ma costanti e affidandosi alla libera iniziativa delle grandi aziende tech.
Questa diversità di approccio riflette due filosofie opposte: da un lato la pianificazione centralizzata cinese che punta su massicci investimenti pluriennali, dall’altro la flessibilità che segue le opportunità di mercato americana che adatta gli stanziamenti anno per anno. In mezzo si trovano gli altri attori asiatici, con Giappone e Corea del Sud che hanno annunciato programmi significativi ma più contenuti. L’India si sta muovendo con cautela, ma ha già dichiarato il quantum computing settore strategico per il prossimo decennio. Il rischio è che questa corsa agli armamenti tecnologici crei ulteriori tensioni internazionali.
L’Europa che si divide
Ma veniamo a noi. Nel Vecchio Continente, solo l’11% dei fondi è gestito a livello comunitario, con appena un miliardo di euro stanziato dall’Unione Europea. Il resto viene distribuito in ordine sparso dai singoli stati membri, ciascuno con le proprie priorità e i propri programmi. Una frammentazione che ricorda drammaticamente quanto già successo con il cloud computing e l’intelligenza artificiale, settori oggi dominati dalle big tech americane e in cui il secondo posto è indubbiamente cinese. La mancanza di coordinamento rischia di disperdere risorse preziose e di indebolire la posizione europea nella competizione globale. È già successo, sta per succedere ancora.
I singoli paesi europei sono molto egoisti (non è una novità, dopotutto) e sembrano più interessati a costruire campioni nazionali che a creare sinergie continentali. La Francia guida la corsa con investimenti massicci, seguita da Germania e Paesi Bassi. Questa competizione interna potrebbe rivelarsi controproducente, anziché virtuosa, specialmente considerando che gli altri blocchi globali si muovono in modo più coordinato. Da noi si reinventa la ruota, in continuazione. E così l’Europa rischia di ritrovarsi con una manciata di eccellenze isolate invece di un ecosistema integrato e competitivo.
Le startup crescono
C’è però un altro campionato, oltre a quello dei fondi pubblici. Ed è quello delle startup sul libero mercato. A fare la differenza dovrebbero essere le nuove aziende, magari ibride tra impresa e ricerca universitaria. Le menti più brillanti, i ricercatori più affamati. E in effetti il mondo delle startup quantistiche è in piena effervescenza, con 458 player attivi nel pianeta di cui ben il 78% sono imprese “quantum-native”, nate specificamente per questo settore. Questi numeri testimoniano la vitalità di un ecosistema che dal 2019 ha attratto investimenti per 5,9 miliardi di dollari, di cui ben 2,4 miliardi solo nell’ultimo biennio. La distribuzione geografica vede una netta predominanza americana, con il 56% dei finanziamenti, seguita dall’Europa con il 29% e dall’Asia con il 10%.
L’accelerazione degli investimenti negli ultimi due anni, nonostante la flessione generale del venture capital nel settore delle deep tech, dimostra la fiducia crescente nelle potenzialità commerciali del quantum computing. Le startup si stanno specializzando in diverse nicchie: dall’hardware quantistico al software, dalle componenti abilitanti agli ambienti middleware. Questa diversificazione sta creando un ecosistema completo e maturo, pronto per le prime applicazioni commerciali su larga scala.
L’Italia che non c’è
Ma qui arriviamo al problema. Il confronto con gli altri paesi europei mette impietosamente a nudo i limiti del sistema Italia. Secondo la ricerca degli Osservatori del Politecnico di Milano le nostre startup hanno raccolto appena 12 milioni di euro nel biennio 2023-2024, una cifra che impallidisce di fronte ai 255 milioni della Francia. Questo divario non riflette tanto una mancanza di talenti o di competenze tecniche, quanto piuttosto una cronica difficoltà nel tradurre l’eccellenza accademica in successo commerciale. Il sistema del venture capital italiano fatica ancora a scommettere su tecnologie così avanzate.
Un segnale positivo arriva però dalla recente istituzione del primo fondo di investimento italiano dedicato alle tecnologie quantistiche. Questo potrebbe rappresentare un punto di svolta, ma serve un cambio di passo più deciso. Le startup italiane mostrano potenzialità interessanti, alcune offrono già prodotti di Quantum Key Distribution integrati in reti quantistiche permanenti, come quella inaugurata a Napoli. Due startup sono state selezionate per il programma di accelerazione della Nato (a riprova della rilevanza militare di queste tecnologie), dimostrando così che il talento c’è ma va sostenuto con più coraggio.
I pionieri della borsa
Il tema di fondo però è anche un altro. Chi vuole usare le tecnologie quantistiche? Sono fondamentali, possono cambiare completamente il modo con il quale funziona l’informatica (a partire dalla crittografia e quindi dalla cybersecurity) e quindi tutto il resto, ma nessuno se la sente di fare il primo passo. Nel panorama delle grandi aziende quotate, solo il 13% delle società presenti nella Forbes Global 2000 sta sperimentando attivamente le tecnologie quantistiche. Tuttavia, questo numero sale significativamente al 44% se si considerano le prime 200 aziende della lista. Sono i giganti globali a guidare l’innovazione, con risorse e visione necessarie per investimenti a lungo termine. Questa concentrazione nelle aziende più grandi suggerisce che il quantum computing è ancora percepito come una tecnologia per pochi, con barriere all’ingresso significative.
I settori più attivi sono quelli dove i vantaggi computazionali possono tradursi direttamente in vantaggio competitivo. Il finance domina con il 27% delle sperimentazioni, seguito dall’healthcare con il 21%. Nella Quantum Communication, invece, sono i settori telco e IT a guidare la corsa, ciascuno con il 32% delle progettualità. L’obiettivo è rendere quantum secure i propri prodotti e servizi, anticipando la rivoluzione che questa tecnologia porterà nella sicurezza delle comunicazioni.
La finanza in testa
Come abbiamo visto il settore finanziario emerge come il più attivo nelle sperimentazioni quantum, con progetti che spaziano dall’ottimizzazione dei portafogli alla gestione del rischio. Le grandi banche internazionali stanno in realtà investendo massicciamente, riconoscendo il potenziale dirompente di questa tecnologia per il loro business. La capacità di processare scenari complessi in tempi ridotti potrebbe rivoluzionare il trading algoritmico e l’analisi dei mercati. BBVA e Crédit Agricole sono tra i pionieri, con programmi di ricerca già avviati.
Il secondo posto dell’healthcare non è casuale. Molti problemi di questo settore, come la simulazione molecolare per lo sviluppo di nuovi farmaci, sono intrinsecamente quantistici. La possibilità di simulare interazioni molecolari complesse potrebbe accelerare drammaticamente la scoperta di nuove terapie. Le aziende del settore stanno già esplorando applicazioni nella progettazione di farmaci personalizzati e nella ricerca di nuove molecole attive.
Le eccellenze nascoste
L’Italia è il Paese dei Gattopardi ma anche delle “macchie di leopardo”. Infatti, può vantare alcuni risultati di eccellenza, ma dispersi sul territorio e incapaci di fare sistema, che dimostrano il potenziale del nostro sistema di ricerca. L’Università Federico II di Napoli ha costruito il primo computer quantistico criogenico italiano, raggiungendo la capacità di 24 qubit. La Sapienza di Roma ha realizzato la prima piattaforma fotonica nazionale, mentre l’Università di Padova ha sviluppato una innovativa piattaforma di simulazione in collaborazione con il Cineca. Questi successi testimoniano la presenza di competenze di alto livello.
I laboratori d’eccellenza italiani stanno favorendo la nascita di iniziative imprenditoriali interessanti, anche se con numeri ancora limitati. Le startup nate da questi centri offrono già soluzioni concrete, come i prodotti di Quantum Key Distribution integrati in reti quantistiche permanenti. La rete quantistica inaugurata a Napoli e utilizzata nelle sperimentazioni del G7 dimostra che l’Italia può giocare un ruolo importante in questo settore, se saprà investire con continuità.
I big italiani
Se guardiamo non alla ricerca pura collegata a startup e università ma a quel che fanno i big del settore, emergono dati interessanti. Delle 297 aziende Forbes Global 2000 attive sulle tecnologie quantistiche, 10 sono italiane, tra cui nomi di primo piano come Enel, Eni, Intesa Sanpaolo e Leonardo. Il settore finanziario guida anche qui gli investimenti, seguito da energy e telco. Queste aziende stanno iniziando a esplorare le potenzialità del quantum computing, ma con budget ancora modesti rispetto ad altre tecnologie più mature. La spesa complessiva delle grandi aziende italiane ammonta a otto milioni di euro, dominata da alcuni big spender del panorama industriale.
Le sperimentazioni in corso spaziano dall’ottimizzazione delle reti energetiche alla sicurezza delle comunicazioni, dalla gestione del rischio finanziario alle applicazioni in ambito difesa. Il sostegno dei fondi PNRR ha permesso di mantenere stabili o in crescita i budget dedicati nel 2024, ma serve un cambio di passo per non perdere terreno rispetto alla competizione internazionale.
Il PNRR non basta
Parlando dei fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, è impossibile non rilevare come abbiano giocato un ruolo fondamentale nell’avvio dell’ecosistema quantistico italiano, promuovendo la collaborazione tra università e imprese. Oltre 140 milioni di euro sono stati destinati alle tecnologie quantistiche, con l’obiettivo di arare (e non ancora di seminare) il campo: cioè creare le basi per una rete di competenze distribuita sul territorio. Tuttavia, questi fondi rappresentano solo un punto di partenza: serve una strategia nazionale di lungo periodo che dia continuità agli investimenti.
La frammentazione delle iniziative rischia di disperdere risorse preziose. È necessario un approccio coordinato che metta a sistema le eccellenze esistenti e crei un ambiente favorevole allo sviluppo di nuove imprese. La sfida è trasformare i successi della ricerca in opportunità di business, creando un ecosistema che attragga investimenti privati e talenti internazionali.
Il futuro che arriva
Il punto è che il quantum computing esiste ed è in dirittura di arrivo. Manca probabilmente davvero poco. E quando arriverà l’accelerazione del mercato sarà tale che per chi non è pronto sarà quasi impossibile recuperare. A che punto siamo? Facile: le recenti dimostrazioni di Ibm, che ha ottenuto risultati precisi su oltre 100 qubit, e di Microsoft, che ha migliorato drasticamente l’affidabilità dei qubit logici, segnano l’inizio di una nuova fase. L’Australia ha annunciato un investimento di 620 milioni di dollari per costruire quello che potrebbe essere il primo computer quantistico commercialmente utile al mondo. La corsa è entrata nel vivo e le applicazioni pratiche iniziano a materializzarsi.
L’Italia non gioca un ruolo da protagonista e neanche da figurante, ma non può permettersi di restare alla finestra. Le nostre eccellenze nella ricerca e le prime esperienze industriali dimostrano che abbiamo le capacità per competere. Serve però un salto di qualità negli investimenti e nel coordinamento delle iniziative. La posta in gioco non è solo tecnologica ma riguarda la competitività futura del nostro sistema paese in uno dei settori destinati a ridisegnare gli equilibri economici globali.