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La carta batte sempre il digitale

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Forse pensando di far bene, abbiamo sbagliato tutto. Questo è quel che è successo: l’accelerazione fatale è iniziata quattro anni fa. La pandemia è stata un momento di cambiamento forzato che tutti, nel mondo della scuola, hanno dovuto subire. La didattica a distanza ha trasformato il modo di studiare durante il periodo del lockdown forzato in tutto il mondo. Ma quello che doveva essere un ripiego momentaneo si è trasformato in un’opportunità per molti amministratori scolastici, che hanno visto nella digitalizzazione totale la via del futuro.

Adesso però i nodi vengono al pettine. Il Dipartimento dell’Educazione americano ha pubblicato i dati più recenti sulla capacità di lettura e comprensione degli studenti tredicenni: un crollo di quattro punti rispetto al 2020 e addirittura di sette punti rispetto al 2012. Per i peggiori studenti si torna indietro al 1971, ai tempi in cui venne fatto il primo studio nazionale.

Non è solo colpa del Covid

I politici e gli amministratori puntano il dito contro il virus e la chiusura delle scuole. I conservatori preferiscono accusare i sindacati degli insegnanti per aver spinto sulla didattica a distanza. Ma entrambi sbagliano prospettiva perché non considerano il vero elefante nella stanza: il supporto stesso su cui i ragazzi studiano. Il digitale.

Prima della pandemia era già iniziata una transizione silenziosa da carta a schermi retroilluminati. La Dad ha solo accelerato un processo che era già in corso. Gli studenti hanno sostituito libri, quaderni e fotocopie con tablet, computer portatili e schermi di ogni tipo. Il risultato è sotto gli occhi di tutti.

Una ricerca rivoluzionaria dei neuroscienziati del Teachers College della Columbia University segna un punto di svolta nel dibattito. Utilizzando una rete di elettrodi per misurare l’attività cerebrale, hanno studiato 59 bambini tra i 10 e i 12 anni mentre leggevano testi sia su carta che su schermo. I risultati non lasciano spazio a dubbi.

La lettura su carta genera processi cerebrali più profondi e una comprensione più articolata rispetto a quella “superficiale” tipica degli schermi. L’età dei partecipanti è cruciale: proprio in quella fascia avviene il passaggio dal “imparare a leggere” al “leggere per imparare”. Una transizione delicata che gli schermi rischiano di compromettere.

Gli insegnanti avvertono, l'uso eccessivo della tecnologia può generare lacune nell'apprendimento - macitynet.it
Foto di Epson

L’allarme degli insegnanti

Chi sta in classe ogni giorno lo sa bene. Il 68% degli insegnanti italiani (e il 71% di quelli europei) chiede un ritorno ai materiali cartacei. Non per nostalgia ma per esperienza diretta: il 33,5% dei docenti italiani rileva che l’uso di laptop e tablet può avere un impatto negativo sull’apprendimento.

E non è finita, perché i numeri parlano chiaro: il 42% degli insegnanti italiani ha visto un declino nelle capacità di lettura, il 38% ha constatato una ridotta conservazione delle conoscenze, il 22% nota una diminuzione dell’impegno. Ma soprattutto, il 15% afferma di aver visto una correlazione diretta della presenza degli schermi con risultati scolastici peggiori.

Il paradosso tecnologico

Mentre le evidenze scientifiche mostrano i limiti degli strumenti digitali, le scuole continuano a investire massicciamente in tablet e computer. Solo Google dal 2020 ha venduto Chromebook per 14 miliardi di dollari a scuole e università. Un business colossale che spinge verso una digitalizzazione sempre più spinta.

Non tutte le voci si levano contro il digitale, però. Ci sono anche scienziati che la vedono diversamente. Come dice John Gabrieli, neuroscienziato del MIT ed esperto di lettura e cervello: “La tecnologia educativa non ha avuto alcun effetto su larga scala sui risultati della lettura, sulle difficoltà di lettura, sui problemi di equità”. E infatti si continua a investire in quella direzione, spinti più dal marketing che dai risultati.

La svolta dei paesi nordici

Tuttavia, c’è chi non ci sta. La Svezia, tradizionalmente all’avanguardia nel digitale, sta facendo marcia indietro. Il ministro dell’Istruzione Lotta Edholm ha dichiarato che le condizioni ottimali per sviluppare le competenze fondamentali nella lettura e nella scrittura si ottengono in contesti analogici con strumenti tradizionali.

Non sono solo parole: il governo svedese ha stanziato 44 milioni di euro l’anno a partire dal 2024 per l’acquisto di libri di testo cartacei. Una decisione che segna un cambio di rotta significativo in uno dei paesi più digitalizzati al mondo.

Il problema non si ferma tra le mura scolastiche. Quando anche i compiti sono solo digitali, per i genitori diventa impossibile gestire il tempo che i ragazzi passano davanti agli schermi. Il 55% dei genitori italiani ammette che l’uso dei computer portatili a scuola complica la gestione del tempo-schermo domestico.

Non si tratta solo di un problema pratico. La continua esposizione agli schermi modifica il modo in cui il cervello elabora le informazioni. La carta forza una concentrazione più profonda e duratura, mentre gli schermi invitano alla distrazione e al multitasking, nemico giurato dell’apprendimento profondo.

Verso un equilibrio possibile

La soluzione non sta certamente nell’eliminare la tecnologia (sarebbe veramente paradossale che lo scrivessimo noi, che siamo una testata solo online), ma nel trovare il giusto equilibrio. Il 63% degli insegnanti italiani vorrebbe utilizzare la tecnologia in modo più bilanciato, come strumento per migliorare l’insegnamento e non come fine in sé. Un approccio ibrido dove digitale e analogico collaborano invece di competere.

La sfida per il futuro della scuola sta proprio qui: ripensare gli investimenti privilegiando un approccio dove la carta mantiene un ruolo centrale nell’apprendimento profondo, mentre la tecnologia offre strumenti complementari. Perché alla fine, come dimostrano neuroscienze ed esperienza sul campo, la carta batte ancora il digitale. Almeno, quando si tratta di imparare davvero.

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