Era tutto scritto, bastava saperlo leggere. La Silicon Valley, che aveva combattuto Donald Trump per quattro anni dal 2016 al 2020 e poi lo aveva messo al bando dopo l’assalto a Capitol Hill, adesso si genuflette davanti al vincitore delle elezioni 2024. Non è una sorpresa: il settore tecnologico ha sempre saputo riconoscere da che parte tira il vento e adattarsi di conseguenza.
La spaccatura nella Valley, evidente sin dall’inizio della campagna elettorale, si è rapidamente ricomposta non appena i risultati hanno indicato il vincitore. Da un lato c’erano i “resistenti” come Reid Hoffman di LinkedIn, dall’altro i sostenitori della prima ora come Elon Musk. In mezzo, la maggioranza silenziosa che aspettava di vedere come sarebbe andata a finire. E adesso tutti applaudono, nessuno escluso.
Il caso delle auto elettriche e dell’AI
Le auto elettriche sono l’esempio perfetto di questo voltafaccia. Trump non ha mai nascosto il suo scetticismo verso la mobilità elettrica, eppure Tesla festeggia in borsa con un +12%. Il motivo? La promessa di una deregulation che potrebbe favorire lo sviluppo dei veicoli autonomi e delle batterie, indipendentemente dal fatto che siano elettriche o meno.
L’intelligenza artificiale è un altro settore dove il pragmatismo ha prevalso sull’ideologia. Sam Altman di OpenAI, che fino a ieri sembrava preoccupato per le derive autoritarie, oggi parla entusiasticamente di “leadership americana nell’AI con valori democratici”. Una formula politically correct per dire che con meno regole si lavora meglio.
L’agenda della Silicon Valley e quella di Trump
Il settore dei semiconduttori guarda con una certa apprensione alla possibile cancellazione del Chios Act, ma Intel e gli altri produttori sanno che Trump difficilmente rinuncerà a una leva strategica nella competizione con la Cina. La vera partita si giocherà sulle modalità di supporto all’industria, non sulla sua esistenza.
La moderazione dei contenuti online, tema caldissimo negli ultimi anni, si prepara a una svolta radicale. Meta e X possono finalmente allentare i controlli senza temere ripercussioni politiche. Mark Zuckerberg, che aveva bandito Trump da Facebook, ora gli dà il bentornato come se nulla fosse successo. La coerenza non è mai stata il punto forte dei social network.
Il nuovo dipartimento per l’efficienza governativa promesso a Musk (soprannominato “Doge” in onore della criptovaluta preferita del miliardario) rappresenta la ciliegina sulla torta. Un ruolo governativo al ceo più influente d’America, che potrà così plasmare le politiche tecnologiche a sua immagine e somiglianza. Non male per chi fino a pochi anni fa si dichiarava “politicamente neutrale”.
La leva per sollevare il mondo
La piattaforma X è stata determinante per la vittoria di Trump. Con i suoi 200 milioni di follower, Musk ha trasformato il social network in una macchina da guerra elettorale, generando quasi un miliardo di visualizzazioni al giorno nei momenti cruciali della campagna. Un’operazione di comunicazione politica senza precedenti, condotta dal proprietario stesso della piattaforma.
La scommessa personale di Musk sulla vittoria di Trump si è rivelata vincente su tutta la linea. I 100 milioni investiti nella campagna sono già stati ampiamente ripagati dall’impennata del titolo Tesla. Ma il vero premio è l’influenza politica: da outsider contestatore a consigliere del principe, il percorso è completo.
Jeff Bezos, che con il Washington Post aveva rappresentato l’opposizione mediatica a Trump nel 2020, oggi si congratula parlando di “straordinario ritorno politico”. La decisione del quotidiano di non sostenere nessun candidato, presa dallo stesso Bezos contro il parere della redazione, appare ora in una luce diversa.
La storia insegna che il potere economico finisce sempre per allinearsi con quello politico. La Silicon Valley non fa eccezione: dopo una breve stagione di resistenza, i giganti tech hanno capito da che parte tira il vento. E qualcuno, come Musk, lo aveva capito prima degli altri. Resta da vedere se questa luna di miele tra Trump e la tecnologia durerà più a lungo della precedente. Ma per ora, la Valley si inchina al suo nuovo padrone.
Il grande dubbio
Il sostegno incondizionato dei grandi del tech ha inevitabilmente provocato una reazione nell’opinione pubblica. I sostenitori vedono Musk come un innovatore che sfida lo status quo, ma una parte crescente della popolazione teme che questo sodalizio tech-politico possa compromettere la democrazia. Dopo tutto, è difficile ignorare il rischio che una manciata di miliardari possa manovrare i fili della politica come uno dei tanti progetti sperimentali a cui sono abituati. Con Trump alla Casa Bianca e i big del tech in prima linea, la democrazia americana potrebbe finire sotto la supervisione dell’élite tecnologica.
Infine, resta la domanda di fondo: stiamo assistendo alla nascita di una democrazia in versione 2.0, plasmata da colossi dell’innovazione, o alla sua progressiva erosione? I leader tecnologici stanno ridefinendo il panorama politico come un’estensione delle loro strategie aziendali, e il confine tra governance democratica e controllo corporate appare sempre più sfumato. Da qui in avanti, la domanda non sarà più se la tecnologia può influenzare la politica, ma fino a che punto gli interessi del tech sostituiranno quelli dei cittadini.