C’era una volta il peccato originale di Internet: la libertà. Una libertà così grande da permettere a chiunque di fare qualsiasi cosa. Come in tutte le favole, però, arriva il momento in cui bisogna crescere e capire che la libertà senza regole diventa anarchia. E l’anarchia, come sanno bene i filosofi politici, non è libertà ma caos.
Ecco allora che l’Italia, patria del diritto romano ma anche delle soluzioni creative, ha deciso di affrontare il problema della pirateria online con un approccio che definire muscolare è un eufemismo. Il risultato? Un sistema talmente zelante da bloccare persino Google Drive. Come dire: per acchiappare il ladro abbiamo chiuso l’intera città.
La fretta è cattiva consigliera
La storia è semplice, come abbiamo già raccontato: la Lega Calcio, stanca di vedere le partite trasmesse illegalmente, ha regalato all’Agcom un sistema chiamato Piracy Shield. Un nome che suona come quello di un supereroe dei fumetti ma che in realtà è più simile a un vigilante troppo entusiasta. Il sistema dovrebbe bloccare i siti pirata in tempo reale, ma nel suo zelo ha finito per colpire uno dei servizi cloud più utilizzati al mondo.
È come se, per fermare chi ruba le mele al supermercato, avessimo chiuso l’intero centro commerciale. Vi sembra troppo? Ecco, vedo che ci stiamo capendo. È facile fare ironia, ma la realtà è che la tecnologia non è una bacchetta magica. Vallo a spiegare a chi ci governa, però.
Il problema non è tanto nel principio quanto nell’esecuzione. Voler proteggere i diritti d’autore è sacrosanto, ma pensare di poterlo fare con un sistema automatico che ha 30 minuti per decidere cosa bloccare è come cercare di fare chirurgia di precisione con un machete. La tecnologia può essere un ottimo strumento, ma non è un superpotere dei fumetti. Servono competenze, tempo e soprattutto la consapevolezza che Internet è un ecosistema complesso dove tutto è interconnesso.
L’effetto domino del panico morale
Quello che stiamo vedendo è il classico esempio di panico morale applicato alla tecnologia. La pirateria è un problema serio, certo, ma la risposta non può essere un sistema che rischia di far crollare l’intera infrastruttura digitale del Paese. Siamo terrorizzati dai furti in appartamento e dobbiamo trovare rapidamente una soluzione? Quale? Ovviamente murare tutti i portoni dei palazzi: efficace, forse, ma con qualche piccolo problema di praticità.
L’ironia della situazione è che questo sistema, nato per proteggere il calcio italiano, ha fatto autogol. Non solo perché blocca servizi legittimi, ma perché mostra una fondamentale incomprensione di come funziona la rete. Abbiamo dato a un vigile urbano il potere di bloccare istantaneamente qualsiasi strada della città sulla base di una segnalazione anonima, senza verificare se quella strada porta all’ospedale o alla scuola di quartiere. Qualunque assessore o consigliere comunale se ne accorgerebbe. I nostri decisori no, perché mancano di competenze tecniche.
Attenzione, non devono fare i programmatori nella vita: ma non possono neanche pensare che internet sia una tubatura. Dovrebbero ragionevolmente essere in possesso di capacità di “pensiero computazionale”. Auguri a trovare un candidato politico che sappia cosa sia.
La strada per l’inferno è lastricata di buone intenzioni
La morale di questa storia non è che non si debba combattere la pirateria. O che vanno uccisi i politici. No, ovviamente. Invece, potrebbe essere quella che dice che le soluzioni semplicistiche a problemi complessi spesso creano più problemi di quanti ne risolvano. Il caso di Google Drive è emblematico: per colpire chi trasmette illegalmente le partite di calcio, abbiamo rischiato di paralizzare l’attività di migliaia di aziende, scuole e professionisti che usano il cloud per lavorare.
La vera soluzione non sta nell’automatizzare la censura, ma nel creare un sistema più intelligente e raffinato, che sappia distinguere tra il grano e la zizzania. Serve un approccio che coinvolga tutti gli attori dell’ecosistema digitale, dai provider ai detentori dei diritti, dalle autorità agli utenti. Perché alla fine, come in tutte le cose, la fretta è cattiva consigliera ma l’ignoranza ancora di più. E in questo caso, rischiamo di buttare il bambino con l’acqua sporca. O, per restare in tema calcistico, di prendere un cartellino rosso ancora prima di entrare in campo.